La censura sta all’arte come l’ostacolo sta alla corsa a ostacoli

L’epoca della censura “dall’alto” sta finendo, come dimostra il decreto con cui il ministro Franceschini ha abolito la censura cinematografica. Niente più “placet” ministeriali: un’opera d’arte è ora a completa discrezione del suo autore, il quale non deve più temere le reprimende di Stato. È una buona notizia: il pubblico italiano non è più considerato un perpetuo “bambino” da proteggere dalla realtà e dalle provocazioni. Ma emerge qualche elemento di preoccupazione. Arte e censura sono da sempre le facce di una stessa medaglia, irrimediabilmente connesse e vitali l’una per l’altra. Senza repressione non c’è Carnevale. Compito dell’artista è quello di aggirare i divieti, sfidare i limiti per condividere il suo messaggio con il pubblico più vasto possibile. Pensiamo alla satira che Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi portavano sugli schermi della pudibonda Rai degli anni Sessanta: la loro era una danza attorno ai divieti, un esercizio d’impagabile intelligenza, che consentì loro di mettere in scena l’ottuso funzionario Rai che si sbellicava dalle risate ascoltando le loro scenette, ma che comunque le censurava perché c’era «qualcuno sopra» di lui a cui doveva rispondere.

La censura sta all’arte come l’ostacolo sta alla corsa a ostacoli: senza uno non c’è l’altra. E l’abolizione della censura di Stato, non può nascondere come oggi esista una “censura dal basso”, dettata dai nuovi media, dai social-network, dai movimenti d’opinione che impongono la legge non scritta di un “politicamente corretto” forsennato. Abbiamo visto all’opera questa cultura della cancellazione negli Stati Uniti, paese che si vorrebbe come la culla della libertà d’espressione:  l’Inferno di Dante epurato da alcuni passaggi considerati “islamofobi”, Shakespeare cancellato dai programmi di studio in quanto sarebbe “misogino”, quella meravigliosa satira che è il “Robinson Crusoe” di Defoe finita nel catalogo degli impresentabili in quanto “colonialista ed eurocentrico”. Estremismi che in Italia non hanno attecchito. Non tanto per innato liberalismo degli italiani, ma perché siamo talmente esposti alle eresie dell’arte che pensare di rinunciarvi per compiacere i nuovi parrucconi non ci convince. Ma alcune eco da Oltreoceano stanno arrivando anche da noi ed è bene non abbassare la guardia, perché la libertà d’espressione non può essere né cancellata dallo Stato né demolita a colpi di “tweet”.

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.