Millenovecentonovantadue. Sarajevo è una città martire, spezzata dalle bombe. In mezzo al caos, Mirsada Buric, maratoneta e studentessa di giornalismo, rilasciata da poco da un campo di detenzione, corre per le strade piene di macerie e automobili bucherellate dai proiettili. È giugno e alle Olimpiadi di Spagna manca un niente. L’idea di allenarsi sembra quasi un atto di ribellione, un atto di fede. Ormai in città tutti la conoscono come “Madame Sniper”, perché mentre corre, sente addosso il mirino di quelle carogne dei cecchini, oltre che quello della carogna più grossa: il Destino. Eppure, continua. Continua anche quando le strade diventano troppo pericolose, quando le esplosioni si avvicinano troppo. In tal caso, per allenarsi ripiega sulle scale degli edifici, corre nei parcheggi sotterranei dell’Holiday Inn, dove ogni passo è una sfida a quella forza oscura che sembra volerla fermare. Naturalmente deve nutrirsi Misrada. Un’atleta non vive di sola passione. Il Comitato Olimpico della Bosnia Erzegovina le offre pasti all’Holiday Inn, tra giornalisti stranieri e ufficiali dell’UNPROFOR. Ogni giorno, attraversa Sarajevo sotto il fuoco per raggiungere il ristorante, per mangiare, certo, ma anche per ricordarsi di essere viva.
Ma il 31 luglio, finalmente, eccoci a Barcellona! È una sera calda, l’aria densa. Alla linea di partenza dei 3000 metri, lo sparo dello starter riecheggia, un suono famigliare, quasi intimo, troppo intimo, che le comunica il peso di una vita intera. Viene eliminata, Mirsada. Non importa. Alle Olimpiadi, c’è arrivata. Ed è ancora viva.