l’A.I. non è neutra. Impone standard anche cognitivi

L’intelligenza artificiale deve mettere davvero paura se persino Elon Musk ha proposto di fare una “pausa” di sei mesi, per evitare che il suo sviluppo comporti “profondi rischi per la società”. 

Chi scrive si è imbattuto nell’intelligenza artificiale quasi 30 anni fa, lavorando all’Irst, l’istituto di ricerca sulla collina di Povo, che all’epoca era grande la metà di quello attuale. Era una fase delicata, di transizione dalla robotica – che aveva dato all’istituto grande popolarità ma non si era tradotta in una delle famose “ricadute” che l’opinione pubblica auspicava – a tutta una serie di ricerche forse meno vistose ma che alla lunga si sarebbero rivelate molto più spendibili. “Linguaggio naturale”, “Visione artificiale”, “Ragionamento automatico” e così via; questi i nomi. Definizioni misteriose per l’uomo della strada, ma capaci di tradursi in software e sistemi che nel tempo tutti abbiamo imparato ad adoperare, quasi senza accorgercene. Già solo un motore di ricerca a cui possiamo fare delle domande come se parlassimo ad una persona umana ne è una prova. Oggi assistiamo ad una nuova ondata di aspettative, e specularmente di preoccupazioni, generate dall’I.A.. Parlo delle seconde, e lo faccio come persona che per tutta la vita si è guadagnata da vivere sfruttando (cito Virginia Woolf) una “piccola, preziosa dote, che mi era così cara”: la capacità di scrittura. I testi che produce, a velocità della luce, ChatGPT (attualmente messo al bando in Italia, per ragioni legate alla privacy) sono obiettivamente impressionanti. Non si tratta solo di produrre un comunicato stampa corretto. Il sistema, se opportunamente addestrato, è in grado di scrivere in pochi secondi un pezzo nello stile di un Pasolini, o una sentenza giuridicamente valida (è successo in Perù). E se sbaglia? Impara. Molti umani non sono altrettanto intelligenti.

Io non sono catastrofista e non sono favorevole alle proibizioni. Il modo in cui scriviamo, traduciamo, leggiamo, è già cambiato molto. Appartengo alla generazione che scriveva le tesi di laurea a macchina. Se arrivavi in fondo alla cartella e non ti piaceva più la prima riga dovevi riscrivere la cartella da capo. Poi è arrivata l’elettronica, il copia e incolla. Nessuno si è lamentato per questo. Eco scrisse Il Pendolo di Foucault con un pc e qualcuno si scandalizzò, ma solo per 5 minuti. Il punto è un altro: è che prima di scrivere il Pendolo Eco aveva già letto di suo mille libri. Perciò non mi sembra neanche corretto minimizzare i cambiamenti che stiamo producendo. Questi cambiamenti riguardano, a mio giudizio, più le menti degli esseri umani che quelle elettroniche. Menti, e per estensione comporta-menti, abitudini, modi di apprendere e/o di intrattenersi. Cioè di lavorare e di vivere. Davvero vogliamo che a imporre all’uomo come comunicare – cioè come capire – siano le tecnologie? In futuro quante persone avranno la capacità attenzionale necessaria per – non dico scrivere – ma almeno leggere un Delitto e castigo? C’è di sicuro in giro chi pensa che questo sia poco importante. Come sono spariti i vetturini delle carrozze – e le carrozze stesse – quando sono arrivati i treni o le automobili, così nella società del futuro potrebbero sparire scrittori, lettori e magari anche i libri, sostituiti da macchine che comunicano ad altre macchine, mentre gli uomini faranno altro (cosa, esattamente, non so). Uno scenario che preoccupa un poco. I mezzi con cui elaboriamo le idee, le informazioni, le emozioni non sono neutri. Impongono i loro standard. Anche cognitivi.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.