La libertà d’espressione sui social

La notizia recente più significativa, a livello di informazione giornalistica e non solo, è il cambiamento di politica dei controlli dei contenuti su Meta (Facebook, Instagram), l’immensa azienda di Mark Zuckenberg. Meta ha infatti iniziato ad allentare le politiche di moderazione, permettendo una maggiore libertà di espressione sulle piattaforme: sono stati ridotti i blocchi automatici o le rimozioni di contenuti che non violano chiaramente le normative, specialmente per quanto riguarda temi come la disinformazione politica. Persino sul Covid Meta ha iniziato a rimuovere alcune delle restrizioni riguardo alla disinformazione sulla salute: sarà meno aggressiva nella rimozione di contenuti che esprimono opinioni divergenti rispetto alle posizioni ufficiali sui vaccini e altre politiche sanitarie.

Zuckerberg ha motivato tali scelte sostenendo che sia giusto che gli utenti abbiano più libertà di interagire e condividere contenuti. I controlli non saranno più delegati ad un’agenzia di “fact checking” esterna ma saranno in mano alla “community”, ossia gli utenti del social stesso, che potranno aggiungere delle note, cioè appuntare dei commenti sui contenuti poco attendibili, visibili ogni volta che quel contenuto verrà condiviso da chiunque. Una sorta di auto-regolazione degli utenti, come avviene su X/Twitter. Lo stesso imprenditore ha ammesso candidamente, con una bella faccia tosta, che il cambio di regolamento è dovuto anche ai “tempi che cambiano”, ossia al nuovo mandato di Trump. 

Questo cambiamento riapre l’annosa questione sulla legittimità di limitare la libertà d’espressione su Internet. Finché si parla di contenuti violenti, sono quasi tutti d’accordo che la censura sia giusta (termine improprio, a dire il vero: la censura può essere solo statale); per il resto? Chi decide cosa è giusto pubblicare e cosa no? Per farlo dovremmo ammettere che qualcuno abbia la verità in mano, su quasi tutto, e non sarà mai possibile. 

Pertanto, per quanto i rischi di una politica liberale da questo punto di vista siano evidenti, e anche nel nostro Paese si assista spesso a episodi di disinformazione sui social causati persino da politici, con contenuti fuorvianti o a volte palesemente falsi, un’alternativa vera non c’è, a meno che non si scelga di ricadere in una dittatura del pensiero, anche se è il pensiero dei supposti “buoni” e “giusti”. Vale ancora di più, per ciò, una presa di posizione forte sull’educazione, affinché essa non si riduca mai a un travaso di conoscenze e a un’ambiziosa trasmissione di valori (quali, poi? E si possono tutti insegnare?),  ma soprattutto un allenamento al pensiero critico, e alla consapevolezza che senza lo studio approfondito dei fenomeni e a una scelta attenta e critica delle fonti di informazione il rischio di essere ingannati, raggirati o anche solo fomentati a piacimento sarà sempre più serio. Questo è vero soprattutto in un Paese come il nostro, penosamente in basso nella classifica della libertà di stampa, dove la disinformazione, spesso in modo sottile e subdolo, la fanno anche i più grandi giornali. Figuriamoci i social.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.