Per gli umani intesi nella loro dimensione biologica la luce è semplicemente qualcosa che serve per vedere le cose. Per il fotografo “della domenica” è una necessità: no luce no foto, e basta che ce ne sia una quantità sufficiente per giustificare un clic. Il fotografo più evoluto sa che la luce, oltre ad essere un elemento indispensabile, possiede anche un incredibile potere dovuto alle sue caratteristiche qualitative, da cui deriva il risultato estetico ed espressivo delle fotografie.
La luce può essere dura o morbida, calda o fredda, può provenire dall’alto o dal basso, può essere frontale o angolata e la combinazione di queste variabili determinerà una varietà di giochi di chiaroscuro, di luci e ombre che conferiranno significato e qualità alle immagini.
Nella fotografia in esterni come il paesaggio, l’architettura, la street photography, il ritratto “on the road”, il fotografo può fare appello alla sua capacità di “leggere” la luce che colpisce il soggetto, dipendente dalle condizioni climatiche, dall’ora del giorno e sarà lui a decidere se una certa scena gode di una illuminazione soddisfacente o se sia preferibile rimandare la ripresa, oppure scegliere un punto di ripresa alternativo o, è il caso del ritratto, spostare e/o orientare il soggetto in funzione della luce che lo illumina.
Non esistono luci “giuste” e luci “sbagliate” in assoluto. Esiste una luce più efficace per esprimere ciò che il fotografo vuole comunicare con la sua foto.
Nel caso della fotografia che utilizza luce artificiale, come il ritratto e lo still-life in studio, le possibilità operative si moltiplicano e il fotografo scopre che la luce è una materia modellabile e plasmabile a piacimento, anche con pochi e semplici strumenti (e tanta capacità di osservazione). E i risultati possono essere decisamente diversi, come testimoniano le due fotografie pubblicate…