
Tu che allarghi le braccia / Vuoi sentirla cadere
E le porgi la faccia / Ti sembra cotone
ti sembrano piume / Nessun tipo di sforzo
Non fa neanche una piega / C’è chi ne ha già abbastanza
Ma tanto la neve, lei se ne frega […]
Così cantava Ligabue una decina di anni fa nel suo omonimo singolo. Da quanto tempo non vedo fiocchi di neve che cadono e imbiancano lentamente le “piazze, le altalene e i bidoni” a bassa quota? Da bambina quando capitava da me, in Valle dell’Adige, ogni altra cosa perdeva importanza: naso e mani incollati alla finestra a contemplare la magia che trasformava il paesaggio. Poi, si correva fuori, berretto in testa moon boot ai piedi, a segnare le prime orme sul manto nevoso appena formato, una tentazione irresistibile! Ricordo che l’ultima nevicata che si rispetti in pianura è stata proprio durante l’anno del covid, nell’inverno 2020/2021. Quasi a farsi beffe di noi, quando non si poteva uscire di casa se non nei dintorni e gli impianti erano chiusi, lei, fregandosene, è caduta e ha coperto tutto, stendendo un velo sulle nostre paure e sul nostro dolore. Pareva volerci ammonire, ripulendoci dalla nostra frenesia. La pausa pandemica sembrava averci avvicinato maggiormente alla natura, e averci messi di fronte alla priorità e alla necessità di cambiare. Poi abbiamo ripreso a correre come prima, e ce ne siamo dimenticati. Ora invece abbiamo battuto addirittura il record dell’anno più caldo della storia, il 2024, che ha superato di un grado e 55 la temperatura media globale dei livelli preindustriali. E anche questo inverno finora di neve se ne è vista ben poca. Secondo uno studio pubblicato a dicembre sull’International Journal of Climatology, condotto da ricercatori trentini e bolzanini, sulle Alpi è diminuita del 34% in un secolo, quasi del 50% se si considera il versante meridionale (il nostro). Nevica sempre meno ma la neve dura anche sempre meno. In media nell’ultimo secolo la copertura del manto nevoso si è accorciata infatti di un mese per via dell’aumento della temperatura. Per salvare l’economia dello sci ormai l’Italia ricorre al 90% all’innevamento artificiale, più degli altri paesi europei, con tutti i costi in termini di risorse economiche ed energetiche che questo comporta, ma ogni anno aumenta comunque il numero di impianti che chiudono perché non vi sono neppure le condizioni di temperatura e umidità necessarie a produrre e conservare la neve finta.
Al di là del problema turistico – che è comunque un bel problema e per il quale occorre guardare a chi ha elaborato delle alternative più sostenibili valorizzando le passeggiate in quota, percorsi enogastronomici o con le e-bike- la diminuzione dell’innevamento ha pesanti conseguenze ovviamente anche sulla disponibilità d’acqua nei mesi più caldi. Quest’anno è iniziato, infatti, all’insegna della scarsità: secondo i dati della Fondazione Cima i due grandi fiumi, il Po e l’Adige, hanno registrato un 61% di deficit idrico dovuto alla mancanza di neve. La pioggia, da sola, non basta a colmare le falde acquifere, anche perché ormai scende in modo sempre più irregolare, concentrata in poco tempo. Lo scorso gennaio, il 19, è stata celebrata la giornata mondiale della neve e tutti i giornali e telegiornali ne hanno parlato, ricordandosene almeno per un giorno, per poi passare ad altro. Quanto tempo ci vorrà, mi chiedo, perché la neve diventi solo un ricordo da celebrare? Un fenomeno del passato, quasi fiabesco come le streghe e i cavalieri, da raccontare ai bambini come una favola della buonanotte. Quando non la troveremo più neanche a 4000 metri cosa faremo? Intanto lei, se ne frega.