La parola e l’astrazione. Da Lascaux agli emoticon

Nella grotta di  Lascaux sono tanti gli elementi che ci parlano di noi e del nostro passato, sussurrandoci all’orecchio i tratti che la nostra specie già possedeva e mostrava 30mila anni fa. Primo fra tutti, il tratto della comunità. Ci siamo evoluti dentro, grazie e per la comunità. Dimenticatevi l’ognun per sé, il self made man, e tutte queste menate più recenti. Il tripudio di palmi di mani di diverse dimensioni e forme impresse nelle pareti dei labirinti paleolitici ci racconta che eravamo un gruppo, che stava insieme, e che, soprattutto, ci piaceva raccontarcela. Le mani stanno lì come a dire ehi, ci eravamo tutti noi, guarda: ci sei anche tu. 

Al secondo posto c’era il tratto della parola. Il collante delle comunità è questo suono che non solo informa, ma sa formare, di generazione in generazione, l’umanità intera, che così accumula conoscenza come “Nani sulle spalle dei giganti” (questo lo diceva Bernardo di Chartres, non io); la parola trascende i limiti spazio temporali, per evocare persone, oggetti, emozioni lontane. Avviene attraverso una magnifica combinazione tra corde vocali e pensiero, che si chiama astrazione. Si astrae con la voce, ma anche con il gesto, con il segno e con il di-segno, come quelli di grandi animali da caccia che abitavano le nostre vicinanze migliaia di anni fa. Al terzo e ultimo posto c’era il tratto della magia. Le grotte paleolitiche sono strutturate come un percorso di iniziazione. Si scende sempre più verso il basso, verso il buio, dove quasi manca l’aria e vengono le vertigini, come a voler incontrare le nostre più profonde paure e angosce, per poi affrontarle, e tornare alla luce, sempre uguali, eppure diversi. Il magico oggi è relegato alle favole, alla saga di Harry Potter, a cartomanti e sette nascoste, eppure la magia non ci ha solo accompagnato lungo tutta la nostra evoluzione, ma ne è anche stato il cuore pulsante. Il pensiero magico è il pensiero umano, e viceversa. La parola magica prima, la formula scritta poi, hanno avuto il potere di influenzare i grandi corsi della storia, le nostre civiltà, fino a quando non siamo diventati razionali… Ma prima della grande separazione tra umanità e pensiero magico, il gesto, la parola, lo scritto, la voce erano tutte caratteristiche dirette a esplorare quella parte invisibile della realtà, ciò che ci sembrava nascosto eppure fondamentale, perché dava senso al nostro esistere. Le religioni non hanno fatto altro che seguire questa traiettoria, con le preghiere e i mantra, gli OM e il canto che avvicinava l’umano al divino, provando a squarciare il velo che cela l’invisibile e il magico nella vita quotidiana. Per noi non è mai stato tutto qui. Abbiamo sempre voluto andare oltre il visibile. Ed eccoci oggi, con un po’ di amnesia su noi stessi. Le nostre parole si sono digitalizzate, smaterializzate, almeno in parte; gli emoticon sostituiscono i palmi delle mani del paleolitico. Per mandare una mano che saluta ci metto un attimo e lo faccio da sola. Mando il faccino che ride, ho tre opzioni. Quello che ride con le lacrime, quello che ride normalmente, quello che ride imbarazzato. Mentre lo mando, al massimo sorrido. Forse rispetto al passato, possiamo fingere di più. Forse i veli che coprono la realtà sono diventati troppi e troppo pesanti, di un materiale difficile da distruggere: il raziocinio piatto e puro.

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Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).