Il fotogiornalismo “esplose” anche in Trentino negli anni Sessanta e portò ad un cambiamento radicale nel modo di fare informazione locale. Si passava da un giornalismo in cui la fotografia restava sostanzialmente subordinata al testo a nuove forme più consapevoli di comunicazione visiva». Katia Malatesta, funzionaria della Soprintendenza provinciale per i beni culturali, è la co-curatrice, assieme alla docente di antropologia all’Università di Trento Marta Villa, della mostra fotografica «Sessanta e non sentirli» che presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale racconta insieme i primi passi dell’ateneo trentino e le origini della contestazione studentesca. Tante fotografie in bianco e nero, selezionate negli archivi dell’Università e nei fondi dell’Archivio fotografico storico provinciale, in capo alla Soprintendenza, rievocano un momento cruciale nella storia recente di Trento, dopo il quale la città non sarebbe stata più la stessa. Con le epiche battaglie dentro e fuori Sociologia, Trento finiva sulle mappe internazionali delle città che contavano e facevano tendenza. Tutto ciò nonostante lo choc prodotto in città da quegli studenti dai capelli lunghi e dalle idee radicali. E non c’è strumento migliore della fotografia per cogliere perché quegli anni siano stati realmente formidabili (citando Mario Capanna). Furono infatti i fotografi di redazione a immortalare i volti, i corpi, la rabbia e la politica che quei ragazzi esprimevano.
«La mostra, che parte con l’inaugurazione del nuovo istituto universitario nel novembre 1962, raccoglie gli scatti di alcuni protagonisti assoluti della storia del fotogiornalismo trentino, come Giorgio Salomon e Giulio Cagol, collaboratori de l’”Alto Adige”, Giorgio Rossi, fotoreporter de “L’Adige”, e Flavio Faganello, attivo per il “Gazzettino” assieme a Giorgio Scorza» ha indicato Katia Malatesta. Fu il lavoro di questo manipolo di fotografi a segnare un’autentica rivoluzione nell’informazione locale: «Nei quotidiani italiani la fotografia era rimasta a lungo accessoria, inghiottita nelle fitte colonne di testo – ha spiegato Malatesta – , ma negli anni Sessanta sulla scia degli esempi internazionali e dello spazio crescente concesso all’immagine da riviste come “L’Europeo” o “Epoca” anche le redazioni trentine si dotarono della figura ormai indispensabile del fotografo di redazione; è l’inizio di un cambiamento che culminerà con ingresso dei fotografi nell’Ordine dei giornalisti negli anni Settanta». I fotogiornalisti si dovevano armare di intuito e prontezza, ma anche di pazienza e di tanta diplomazia, mentre cercavano di catturare scatti significativi delle proteste studentesche: «Un buon fotoreporter si caratterizza soprattutto per la capacità di “esserci” nel momento giusto; rispetto alle fotografie di composto impianto istituzionale riprese durante le cerimonie ufficiali, in questa fase anche in Trentino vediamo crescere una fotografia più dinamica, con quegli effetti di verità – l’inquadratura non programmata, il mosso, le figure tagliate ai bordi – caratteristici dello scatto tempestivo dei nuovi cacciatori di immagini. Ma al tempo stesso – ricorda Malatesta – occorreva curare i rapporti con gli studenti, conquistare la loro fiducia con uno sguardo imparziale, “né pro né contro”, come ha raccontato Giorgio Salomon, cronista del movimento per l’”Alto Adige”».
Un contributo fondamentale all’evoluzione della fotografia e del fotogiornalismo in regione venne com’è noto da Flavio Faganello, forte dell’esperienza maturata già nel 1953 all’agenzia Publifoto di Milano. «Negli anni successivi – continua Malatesta – Faganello al “Gazzettino” perfezionò una fotografia capace di farsi specchio di un Trentino in profonda trasformazione e con grande lungimiranza cominciò a mettere insieme il suo straordinario archivio personale, cumulando negli anni centinaia di migliaia di fotografie, che erano la sua forza: vi attingeva mostrando il “prima” e il “dopo” degli eventi, non di rado interpretando la realtà con una buona dose di ironia e di originalità. Per questo sarà tra i primi a sedere nelle riunioni di redazione alla pari con i giornalisti di penna, portando un apporto determinante all’esperienza straordinaria di “Tempi e Cronache”.
Nel corso dei decenni le tecnologie fotografiche si sono diffuse in maniera capillare, fino al punto in cui oggi tutti si improvvisano fotografi e la figura del foto-reporter rischia di perdere rilevanza: «Oggi tutti hanno uno smartphone e in un giorno si scattano oltre 4 miliardi di fotografie; una rivoluzione che impatta sulla professione del fotoreporter che oggi conosce una grave crisi – riflette Malatesta. Il problema è che troppo spesso viene a mancare la consapevolezza della fotografia come linguaggio». Probabilmente la direzione in cui si andrà sarà nel tempo la “fusione” della figura del cronista e del fotoreporter: «è un processo che richiede anche da parte dei giornalisti di penna una specifica educazione al linguaggio delle immagini: serve un’adeguata formazione».
La mostra «Sessanta e non sentirli» sarà aperta al pubblico in vari locali di Sociologia fino all’8 aprile 2023; sul sito webmagazine.unitn.it è inoltre possibile sfogliare il catalogo online dell’iniziativa.