La scienza sotto inchiesta

La rivista che state leggendo e il device che avete tra le mani esistono o sono solo una proiezione del vostro cervello? Le parole sono veramente davanti alla retina oppure sono il frutto di complessi programmi mentali che trasformano i segnali raccolti in forme intelligibili? Una cosa è certa: per noi comuni mortali è il senso della vista la discriminante, l’arbitro che decide cosa è visibile e cosa no. Per ciò che lo è ci affidiamo e ci fidiamo delle nostre cornee. Per il resto della materia esistente che è fuori scala rispetto alle possibilità percettive di un essere umano – atomi, particelle, ma anche galassie lontane, l’intero universo – occorre affidarsi a qualcos’altro. A cosa? Un attimo che riprendo fiato. Andiamo con ordine.

Mi scuso in anticipo se non sarà proprio chiarissimo quello che sto per raccontare, ma non è chiaro manco a chi me l’ha raccontato, anzi non è chiaro a nessuno, nemmeno alle fonti primarie. Il punto di partenza è un libro. L’ha scritto Giovanni Straffelini (“Indagine sulla Scienza”, Lindau, pag. 145, € 14), ordinario preso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Trento.

Una cosa è certa, nelle università, nelle scuole, nei convegni, non se ne fa mai cenno. Ovvero ogni aspetto della realtà invisibile viene sempre raccontato come se le cose stessero effettivamente così. Lo stesso fresco premio nobel per la Fisica, il professor Giorgio Parisi, ha recentemente affermato che “La scienza non può spiegare il perché del mondo”. 

Insomma, la scienza usa dei modelli che sono tutt’altro che precisi e rispondenti al “vero”. Cosa è un modello? Una rappresentazione della realtà. Nessuno ha mai visto “per davvero” un atomo e nessuno sa cosa c’è “per davvero” all’interno di una molecola. Non sarebbe poi così sbagliato anteporre a qualsiasi enunciazione scientifica la frase che tutti i bambini pronunciano prima di calarsi nell’astrazione di un gioco interpretativo: “Facciamo finta che…”. O meglio: “Come se…”. Qualche esempio? Copernico, che studiò il moto dei pianeti attorno al sole, avrebbe dovuto dire: “i pianeti è come se fossero punti che girano attorno al sole”; rispetto alla gravitazione universale, così Newton: “È come se ci fosse un elastico che li tira…”. Andando su cose più terra terra (è uno degli esempi proposti da Straffelini), il caffè che si raffredda nella tazzina come se ci fosse un flusso termico. Purtuttavia, si parte sempre da un concretezza di fondo: per teorizzare le onde elettromagnetiche, gli scienziati hanno preso i modelli matematici legati alle onde sonore e a quelle marine.

Funziona così: si costruisce un modello, si introducono delle grandezze, condite di spiegazioni (a volte, molto creative). L’elastico di Newton non l’ha mai visto nessuno. Il passaggio di calore nemmeno, ma è comodo ipotizzarlo nei calcoli degli ingegneri. Parafrasando Cartesio, “I conti tornano, quindi esiste”.

E le particelle? Le famigerate componenti fondamentali della materia? La loro esistenza è inferita sulla base di osservazioni delle collisioni ad altissima energia, a cui segue la rivelazione di alcune differenze di potenziale. Questa è la misura, ma non è un’evidenza. Eppure la scienza in automatico fa sempre il passaggio successivo, ad esempio annunciando la scoperta di una nuova particella. Un po’ come affermare l’esistenza di un pianeta lontanissimo solo perché si è misurato un calo di luminosità di una stella, davanti alla quale il presunto corpo celeste si sarebbe frapposto.

Gli stessi virus, di cui tanto ci troviamo a parlare da due anni a questa parte, sono scoperte basate su calcoli. I disegni che girano sono per lo più fantasie anche se è evidente che in qualche forma esistono. Nessuno però li ha mai visti per come sono veramente (al limite, li ha intravisti). Sono troppo, maledettamente troppo piccoli.

Nel libro, Giovanni Straffelini analizza i tre pilastri del cosidetto “metodo scientifico”. Anzitutto il realismo, ovvero quel che possiamo vedere esiste (salvo considerare che in ogni caso è il risultato di una complessa costruzione mentale che potrebbe dare adito a qualche obiezioni, ma lasciamo perdere…). Secondo pilastro la regolarità della Natura. Se faccio un esperimento in Tanzania, mi dà gli stessi risultati che potrei ottenere negli Stati Uniti. Anzi, Newton ha dimostrato che la forza che attrae verso il basso gli oggetti della vita quotidiana è la stessa che regola il moto degli astri. Terzo e ultimo pilastro, il riduzionismo. Ogni modello è basato su leggi più fondamentali, e quindi legate a modelli più complessi.

(Qualcuno potrebbe obiettare: ma a noi uomini e donne delle strada che ce ne facciamo di certe speculazioni? Beh, la risposta è molto semplice. È proprio grazie a speculazioni simili che un elettrodomestico, un computer o un telecomando possono funzionare. La scienza non è un gioco. E ci riguarda tutti, volenti o nolenti.)

Passare dall’esiste in base ad un modello all’esiste per davvero richiede un passo considerevole. Generalmente più lungo della nostra gamba, secondo Straffelini. I modelli, peraltro, sono sempre provvisori. Pensiamo alla cosiddetta materia oscura, l’ipotetica componente di materia che costituirebbe circa l’86% della massa dell’universo e circa il 27% della sua energia. Di fatto è un concetto inventato per tappare un buco, o meglio, introdotto per poter far funzionare un modello. Altrimenti sarebbe stato tutto da cestinare.

Le cose peggiorano, però, quando abbandoniamo modelli tutto sommato semplici per entrare in modelli altamente complessi, dove le variabili diventano un numero altissimo e sono continuamente influenzate dall’interazione reciproca e dall’ambiente esterno e, come se non fosse abbastanza, si modificano nel tempo. Il corpo umano ne è un esempio. Gli esseri viventi costituiscono un sistema quasi impossibile da modellare matematicamente. Anche con il computer più potente ci si può solo avvicinare.

Ogni scoperta della biologia è un passo avanti, certo, ma potremmo anche considerarla l’ammissione di un errore se la scoperta confuta in toto o in parte affermazioni precedenti. Un segno di debolezza che però rappresenta un punto di forza per la scienza. Perché in ogni caso la nuova scoperta permetterà di capire meglio un modello o una congiunzione interpretativa, evidentemente imprecisa o sbagliata.

 In ogni caso, la scienza è un’avventura che continua a procedere. Ogni scoperta aiuta a mettere i puntini sulle “i”. Di tanto in tanto arrivano le grandi scoperte che costringono ad abbandonare vecchi modelli o convinzioni. Per dire, un tempo si pensava che esistessero cose come l’etere, il flegisto. Ere in cui si era convinti che la vita potesse generarsi spontaneamente dalla terra. Di contro, grandi intuizioni vengono prese in considerazione solo dopo essere state trascurate per secoli. Come per Galileo.

La scienza vera comincia con Galileo Galilei. È stato il primo a sostenere che occorreva interrogare la Natura con l’esperimento. Raccogliere i dati e mediante la matematica arrivare ad un modello interpretativo e predittivo. Finalmente si potevano superare gli strafalcioni di alcuni filosofi, soprattutto greci, che sovente la sparavano grossa, non per colpa loro, certo, ma proprio a causa della limitatezza di mezzi per la costruzione di un modello.

Anche l’evoluzionismo è un modello interpretativo, anche se piuttosto sui generis, carente, diciamo così, soprattutto dal punto di vista matematico. E poi non ci consente di capire il passaggio fondamentale: la nascita della vita sulla Terra, argomento su cui c’è ancora molta confusione. L’evoluzionismo ci parla meramente della diversificazione dei viventi, ma la materia vivente da dove viene? Come si è formata la prima cellula? Qui siamo di fronte al Mistero con la emme maiuscola. Un luogo nel quale l’umanità non riuscirà mai a mettere luce, così come è certo che un cane non potrà mai leggere un libro, non avendo il necessario bagaglio neurologico per poterlo fare. 

Altra cosa che l’evoluzionismo tralascia di spiegare è perché ad un certo punto della storia, tra le specie ne sia giunta una molto “speciale”. Un avvenimento che non è stato casuale, ma nemmeno regolato da leggi precise. E non siamo nemmeno sicuri che le cose siano andate proprio come si crede siano andate. Ovvero, il modello generale dell’evoluzione per selezione naturale rimane valido, ma la correlazione tra casualità e informazione è poco chiara. In altre parole, abbiamo qualche problema di attendibilità riguardo i tempi che l’organismo umano avrebbe impiegato per “assemblarsi”. Secondo molti studiosi, la formazione di qualsiasi parte biologica richiederebbe molto più tempo di quel che si è creduto fino ad oggi. Dunque, se neghiamo a priori l’intervento di un’entità superiore, tutto ciò dovrebbe derivare da un accidente, una vera clamorosissima casualità. Perciò siamo proprio sicuri che nulla sia intervenuto ad agevolare, accelerare o aiutare i processi evolutivi? O rispondiamo di no a questa domanda oppure dobbiamo immaginare che l’evoluzione comprenda passaggi che ignoriamo ancora del tutto.

È curioso come il Professor Straffelini di lavoro sia ricercatore (e docente) che si occupa di qualcosa di molto “concreto” e tangibile come i metalli, ovvero le tecnologie applicate, produzioni innovative e tribologia, lo studio dell’usura, ad esempio dei freni delle automobili. Cerca cioè di capire come si ricercano e come si applicano i modelli matematici. È curioso perché la conclusione a cui giunge il suo interessante ragionamento tira in ballo i tre grandi misteri legati alla presenza umana nella realtà. L’inizio di tutto, l’inizio della vita sulla terra e la comparsa dell’homo sapiens sapiens. Tre misteri che aprono ad una visione di teologia naturale, ovvero all’ipotesi – come miglior spiegazione provvisoria e di fronte alla consapevolezza della nostra incapacità di spiegare – della presenza di un “creatore esterno”. Ma anche Dio è un modello creato dagli umani nel corso della storia, con i suoi limiti (vedi antropomorfismo, appartenenza ad un solo popolo, ecc.), ma è il meglio che si è riusciti ad ottenere fin qui.

Certo, se ci mettessimo a pensare che tutti questi concetti derivano dalla mente umana e che sono scritti in una lingua che è una convenzione inventata di sana pianta, mediante la strutturazione dei suoni in un alfabeto, e se considerassimo che ci stiamo muovendo nella limitatissima ampiezza di spettro percettivo che ci è riservato in natura (un decimiliardesimo, secondo il filosofo inglese Charlie Dunbar Broad), se davvero riflettessimo su questo saremmo davvero nei guai. Quindi meglio che non lo facciamo.

 In definitiva, la chiave di questa indagine sulla scienza sta in un’affermazione molto semplice: credere nell’esistenza di un ente esterno creatore non è scientificamente sbagliato. Se guardiamo la scienza, i pilastri che la sostengono hanno dei punti deboli, misteri che non riusciamo a comprendere, su tutte la realtà, la regolarità della Natura. Analizzando tali debolezze si può scoprire come ci sia spazio per ipotizzare l’esistenza di un Dio (poi possiamo chiamarlo come vogliamo, nel caso), ovvero di una logica che regge il mondo. E l’esistenza di una logica esige l’esistenza di un autore. Se così fosse si risolverebbero un sacco di grane. A patto, però, che la fede così introdotta non richieda quel “sacrificio dell’intelletto” di cui scriveva San Tommaso d’Aquino, altrimenti non avremmo risolto un bel nulla. Certo, cambierebbe poco: come detto, parlare di Dio vorrebbe dire introdurre – come se non ce ne fossero già abbastanza – un nuovo mistero. E una nuova fede, dato che in quanto a chiedere “fiducia” la scienza è buona seconda dietro le teologie e i credo di ogni religione del pianeta. Ateismo e teorie della cospirazione comprese.

Uno dei padri della meccanica quantistica, il fisico Niels Bohr spiegava che non ci deve interessare “capire” la realtà, ma soltanto studiarla. Si riferiva alle reazioni delle particelle subatomiche che agivano in linea con le equazioni matematiche, ma il loro comportamento era incomprensibile. Si studiano le intimità più profonde della materia accettando di non capire

Allora, questa realtà esiste o esiste solo una sua rappresentazione mentale, come in Matrix? Se guardiamo nelle camerette dei nostri figli adolescenti e assistiamo al disordine cosmico, lo stiamo facendo per davvero oppure nel momento in cui chiudiamo la porta quel disordine cosmico viene inghiottito nel nulla? Le rappresentazioni tridimensionali che prendono forma sotto il bombardamento dei fotoni sono reali o sono il risultato di un’illusione ottica?

Numerose evidenze trasversali che ognuno può sperimentare nella vita ci fanno propendere per la prima ipotesi. Tuttavia non possiamo esserne completamente certi. Il dubbio su cosa ci sia effettivamente nel mondo che sta là fuori rimane.

Il libro
In “Indagine sulla scienza. Un manuale per scettici e per credenti” Giovanni Straffelini si interroga sulle condizioni di validità del metodo scientifico, esaminando i pilastri che lo sostengono, vale a dire il realismo (ciò che noi osserviamo è oggettivo ed esiste indipendentemente da noi), la regolarità e l’uniformità della natura (la natura non è capricciosa) e il riduzionismo (i modelli scientifici poggiano su leggi sempre più fondamentali). L’autore, anche sulla scorta delle più recenti acquisizioni nel settore delle neuroscienze, mostra come questi pilastri siano spesso fragili e come possano essere resi più robusti attraverso la visione teista, che prevede la possibilità dell’intervento di Dio nel mondo.
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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.