Dove va l’arte? Ovviamente segue molteplici strade e svariati sentieri, oscillando tra tuffi nel passato, voli nel futuro e atterraggi nel presente. Ma ci sono alcuni indizi – che vengono da lontano peraltro e dalle più disparate fonti – che ci fanno intravedere le possibili arti nel futuro prossimo. E per coglierne gli esiti è necessario frequentare altri territori, fuori dai circuiti delle gallerie d’arte, dei musei e dei luoghi deputati: bisogna fare due passi al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI) a Povo nel caso di Paolo Ober – le sue proposte sono esposte fino a fine luglio – e alla Fondazione Bruno Kessler dell’Università di Trento oppure, fino alla fine luglio, presso le splendide e arcaiche sale della Galerie90 di Rio Pusteria nel caso di Roberto Pedrotti.
Ebbene, il primo artista fa sparire totalmente le opere sostituendole da una serie di QRcode colorati, ognuno dei quali rimanda via internet all’immagine del quadro con una propria didascalia descrittiva.
L’idea dell’artista prende spunto dai cambiamenti che la pandemia Covid19 ha imposto in maniera perentoria alle nostre abitudini e ai nostri modi di fare le cose. Il lavoro, lo studio e la fruizione della cultura sono stati improvvisamente e necessariamente permeati dalla virtualità e dalla tecnologia. Da questo punto di vista, quale luogo più opportuno dell’ingresso dell’università che si proietta, tra il resto, verso una futura idea di fusione tra il mondo fisico e quello digitale? La mostra potrebbe dunque esprimere una forma di entusiasmo verso il progresso e verso il moltiplicarsi delle possibilità di godere di nuovi tipi di relazione professionale e personale. Sebbene non sia arrivato ai limiti estremi come Marcel Duchamp con il suo ritirarsi nel gioco degli scacchi inteso come massima espressione estetica, concettualizzando totalmente il fare arte, Ober ha messo in luce la possibilità dell’artista di immettere nella mastodontica rete neurale le opere, affidando il ruolo di filo d’Arianna a strumenti ormai in uso come il QRcode.
Non spaventiamoci però. Il fare di Paolo Ober assume più una connotazione provocatoria, una certa nostalgia per una normalità soffocata, frutto di mesi chiusi in casa dove la normalità è stata violentemente e duramente alterata modificando bruscamente gesti, affetti, amori, odi, gesti mimici del corpo e del volto, piuttosto che una via da perseguire all’infinito nel labirintico mondo della rete, dei rimandi, dei continui giochi degli specchi. La “mostra d’arte senza le opere” è una curiosità tecnologica: in fin dei conti, da qualche parte l’opera c’è, il gioco sta nel trovarla. Questo succede già nei tour virtuali di musei, gallerie e luoghi d’arte.
Più radicale è l’operare di Roberto Pedrotti, con i suoi lavori che cadono sotto l’egida dello slogan “Non fatto dall’uomo, non pensato dall’uomo”. Infatti le sue opere sono “espulse” direttamente dalla macchina a controllo numerico computerizzato (CNC), proponendoci un viaggio nell’arte prodotta dalle macchine e dai robot nel quale l’artista è esautorato. Queste opere che sembrano nate dalla mente degli artisti della Bauhaus – ne sono probabilmente la prosecuzione logica, l’inevitabile traiettoria concettuale – sono prodotte da processi di lavorazione sfuggiti al controllo progettuale del programmatore: sono quindi errori diventati autonomi che si offrono come forme inaspettate e spesso geniali. Per l’artista «il lavoro non fatto e pensato dall’uomo rappresenterà il futuro dell’arte e le innovazioni e ricerche tecnologiche creeranno forme d’intelligenza artificiale con capacità di autoapprendimento superiori a quelle umane». In questo caso, cosa rimarrà dell’artista? Diventare collezionista.
Per capire i possibili sviluppi delle implicazioni informatiche e cibernetiche, ovvero l’insorgenza di errori nella matrice con la possibilità di autoriprodursi fino al caos totale, si è mossa perfino l’Association for Artificial Intelligence. Roberto Pedrotti non fa altro che portare ai limiti dell’umano il rapporto tra uomo e innovazione. È una nuova realtà, nata dalle ricerche e dalle speranze utopiche della Bauhaus e della New Bauhaus americana, da quell’enorme calderone ribollente dove design, fotografia, film, manifesto, illuminazione, fumetto, grafica e molto ancora si rincorrono, non tanto per fornire un oggetto da appendere quanto per un progetto di un’esistenza nuova e diversa.
Quindi da una parte la sparizione (seppure temporanea) dell’opera d’arte, dall’altra l’annunciata scomparsa dell’artista. Un algoritmo può reimmaginare l’arte? Una rete telematica può svelare i collegamenti più impossibili e impraticabili per noi umani? Sono temi non da poco e che il mondo dell’arte non ha ancora il coraggio di affrontare in modo serio e costruttivo. Anche qui le strade sono infinite: ci si può perdere dentro la rete, si può abdicare ai saperi artigianali, ci si può lasciar trascinare dall’onda cercando di surfare di cresta in cresta.
Il QRcode è una versione bidimensionale del codice a barra, composto da pattern di pixel solitamente in bianco e nero. In mostra Code personalizzati, cromatici, potenzialmente vere e proprie opere d’arte autonome
Personalmente le opere dei due artisti le guardo, le apprezzo e le cerco, perché mi indicano la possibilità di “uscire dal mondo”, da questo mondo, da questa concezione del tempo, per catapultarmi nel meandrico universo di “n” mondi possibili. Queste modalità potenzialmente moltiplicano le realtà virtuali estetiche e anche pedagogiche. Siamo ai princìpi di uno sviluppo di cui non riusciamo – o non vogliamo – cogliere gli orizzonti, anche perché il nostro sguardo è pur sempre più limitato di quello dell’occhio intelligente che ci controlla dall’alto incastrato in un satellite. Qualcuno ha ipotizzato che già oggi si viva in un mondo in cui nessuna fede sopravvive, ma soltanto dispute intorno ai resti delle fedi. Se l’arte era una fede, oggi – almeno in parte – non lo è più. Richard Dawkins, etologo, sta ripetendo da anni che l’uomo non può avere un fine, essendo un mezzo dei suoi geni che di lui si servono come veicolo per attuare la sua specie. Senza essere così drastici, ricordiamo la frase di Nietzsche che troviamo nel Canto dell’ebbro, dove grida: «Colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini, avrà spostato tutte le pietre di confine, esse voleranno tutte nell’aria per lui ed egli darà un nome nuovo alla terra, battezzandola “la leggera”».
I nostri due artisti stanno calpestando vie nuove.
DOVE & QUANDO |
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Paolo Ober “espone” presso il Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI) a Povo (Trento) fino alla fine di luglio una serie di QRcode colorati, ognuno dei quali rimanda via internet all’immagine del quadro. L’evento fa parte del progetto Artaxy, giovane start up creata da un gruppo di studenti dell’Università dove la piattaforma è il luogo privilegiato per incrociare il bisogno di arredare con la voglia di mettersi in mostra degli artisti. Un AirB&B dell’arte come lo chiamano gli studenti, che combina mondi apparentemente lontani come l’arte e l’informatica. www.arteober.com. Roberto Pedrotti presenta le sue opere elaborate dalla macchina CNC in una mostra personale dal titolo Human Off. Il grado zero dell’arte, presso le sale del palazzo medioevale di Rio Pusteria, sede della Galerie90, a cura di Fiorenzo Degasperi e di Edith Strobl. L’esposizione è aperta dal giovedì al sabato dalle 17.00 alle 19.00, chiude a fine luglio. www.notmanmade.com |