La tecnologia ci rende più stupidi? Io dico “nì”

La domanda aleggia nell’aria già da un po’: “Non è che tutta questa tecnologia ci sta rendendo più stupidi?!” Conosco molte persone che risponderebbero di sì, senza alcun dubbio. Siamo chiaramente rincretiniti mentre i nostri telefoni sono diventati “smart”. Lo hanno pure scritto filosofi e pensatori come Miguel Benasayag e Byung Chuhl Hahn.
Poi ci sono altre persone, che invece risponderebbero di no, difendendo strenuamente il nostro salto evolutivo digitale, dicendo che non è la tecnologia a renderci più o meno stupidi, ma l’uso che di essa facciamo. Anzi, potenzialmente potremmo diventare molto più intelligenti. Tra questi, per esempio, c’è lo storico Yuval Harari e l’inquietante filosofo Nick Bostrom. Io personalmente non sto né col primo gruppo né col secondo, perché penso che la domanda iniziale non abbia alcun senso.

In primo luogo, chiederci se la tecnologia ci rende più stupidi parte da due presupposti falsi.
Il primo è che la stupidità sia il risultato di un processo di trasformazione da uno stato di intelligenza. Ebbene, in realtà non vi sono prove, nella storia della nostra specie, del fatto che siamo mai stati veramente intelligenti. Lo so che i libri di storia delle medie dicevano che la nostra specie si è evoluta da uno stadio primitivo… Ma la verità è che questa è una storia che non è mai stata avallata da alcuna altra specie. Nessuno ci ha mai detto: Ehi, umani! Voi siete i più intelligenti del pianeta! È un titolo, quello, che ci siamo presi da soli.
È come se la società dei pesci misurasse l’intelligenza in base a chi nuota meglio o si adatta meglio nell’acqua. È una scala di misura che va bene per loro. Di certo noi non potremmo neanche gareggiare, nemmeno con i nostri sottomarini e le tute da sub. Non avremmo comunque scampo contro delfini, squali e balene. Insomma, se non abbiamo una definizione di intelligenza valida per tutti, non possiamo pensare di essere intelligenti e quindi non possiamo nemmeno diventare più stupidi.
Il secondo presupposto è che la tecnologia sia qualcosa di altro da noi. Una sorta di entità esterna che ci modifica e ci influenza. Ma noi non siamo mai stati “altro” rispetto alle nostre tecnologie. Anzi, noi “siamo” le nostre tecnologie. È forse questa la cifra dell’umanità. Non l’intelligenza, ma il nostro essere intrecciati sin da subito ai nostri attrezzi, al punto che non solo questi non esisterebbero senza di noi, ma nemmeno noi esisteremmo senza di loro. Così la tecnologia di oggi non ci cambia, ma ci produce come noi la produciamo, in un flusso continuo che non ha interruzione tra umani e tecnologie e viceversa. Non siamo solo quel che mangiamo; siamo anche ciò che teniamo in mano.

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Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).