La tecnologia e l’illusione della sostenibilità

Se veramente avete intenzione di sciropparvi questo articolo dall’inizio alla fine vi consiglio di mettervi a sedere (e non lo dico perché è lunghetto). Fatto? Ok, allora potete cominciare… Microsoft ha appena pubblicato il suo tanto atteso Rapporto sulla sostenibilità ambientale, e le notizie non sono buone: le emissioni causate da aggeggi simili a quello su cui state leggendo questo articolo sono aumentate del 30%. Un dato allarmante, soprattutto se consideriamo che il colosso tecnologico fondato un’era geologica fa da Bill Gates aveva dichiarato di voler raggiungere la neutralità carbonica entro la fine del decennio. Un obiettivo ambizioso che sembra sempre più lontano, schiacciato dal peso delle proprie contraddizioni interne.

Il principale responsabile di questo aumento delle emissioni? La costruzione di nuovi data center. In un’era in cui la domanda per gli strumenti di intelligenza artificiale è esplosa, Microsoft ha dovuto espandere massicciamente la sua infrastruttura per gestire l’enorme quantità di dati che queste tecnologie richiedono. Ma questa espansione ha un costo ambientale spaventoso.

È un paradosso che sembra sfuggire alla nostra comprensione quotidiana: la tecnologia, che consideriamo pulita e immateriale, inquina di fatto quanto la carbonchimica o le estrazioni petrolifere. Inviamo mail, interroghiamo motori di ricerca, guardiamo video in streaming e ci illudiamo di non sporcarci le mani. Eppure, mentre premiamo “invio” sul nostro smartphone o laptop, è come se stessimo sgasando su un vespino scarburato del 1979 o rotolando arrosticini per tutto il quartiere. Ogni nostra azione digitale nasconde un costo invisibile ma concreto, fatto di energia consumata e risorse esaurite.

Ma c’è dell’altro.

Forse non tutti lo sanno, ma la produzione di chip, il cuore pulsante di ogni dispositivo tecnologico, comporta un consumo immenso di acqua. Un processo paradossale in un mondo sempre più afflitto da scarsità idrica e cambiamenti climatici. Ogni volta che celebriamo l’ultimo ritrovato tecnologico, dovremmo ricordare che dietro la brillantezza dello schermo si nascondono fiumi d’acqua trasformati in vapore e anidride carbonica.

Sorge dunque spontanea una domanda: non vi pare che siamo sulla soglia di un cambio di paradigma epocale? Sì, insomma, che stiamo cavalcando strumenti futuribili su cavalli ormai obsoleti? Su motori che lavorano con troppa perdita? Il mondo dell’informatica sta rapidamente lasciando il posto all’era dell’intelligenza artificiale, e il salto non è piccolo. Richiede un’infrastruttura di nuova concezione, una che ancora non esiste e che forse non abbiamo nemmeno iniziato a immaginare. Un salto quantico, sì.

Stiamo, quindi, vivendo in una sorta di limbo tecnologico. Da una parte, l’entusiasmo per le potenzialità dell’AI, che promette di rivoluzionare ogni aspetto della nostra vita. Dall’altra, la consapevolezza che il nostro attuale modello infrastrutturale è insostenibile. I data center, i chip, le connessioni: tutto ciò che sostiene il nostro presente digitale è basato su tecnologie che inquinano, consumano e distruggono.

E così, mentre celebriamo ogni nuova conquista, dobbiamo chiederci quale prezzo stiamo davvero pagando. E se siamo pronti ad affrontare le conseguenze del nostro progresso. La vera sfida, oggi, sarebbe immaginare un futuro in cui la tecnologia possa esistere senza consumare il pianeta. Un futuro in cui l’innovazione non sia sinonimo di devastazione.

Sapete qual’è il succo di tutte le cosette carine ho fin qui scritto? Che il vero progresso non può essere misurato solo in termini di efficienza o capacità computazionale. Deve includere una riflessione profonda sul nostro rapporto con il mondo naturale e sulle responsabilità che abbiamo nei suoi confronti. Solo allora potremo dire di aver davvero compreso il significato del termine “sostenibilità”. Finché non arriverà quel momento, continueremo a mentire a noi stessi, ben sapendo di farlo.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.