
Nella quiete di un’estate inoltrata, i pensieri si dispiegano come onde sulla riva, e la vacanza si profila come un’interruzione convenzionale dal ticchettio delle routine quotidiane. In questi momenti di pausa, sembra di ritrovarsi a tratti in una sorta di “ispezione interiore”, che mi fa pensare agli occhi ormai privi di pigmento delle antiche statue greche e romane. Quegli sguardi, una volta vivi e colorati, ora scrutano all’interno, forse il vuoto, rivelando una nudità che va oltre la superficie, penetrando le profondità dell’anima. La vacanza, nella sua essenza, è assenza: di lavoro, di obblighi sociali, di rumori quotidiani. È il momento in cui possiamo, forse per la prima volta da mesi, rivolgere anche noi – come quelle statue – lo sguardo verso l’interno. Se il nostro corpo è fatto di vuoto, composto dall’inimmaginabile distanza tra elettroni e nucleo, è altrettanto vero che il nostro spirito necessita di spazi vuoti, di pause dall’incessante rumore sociale. Yukio Mishima chiamava “visione del vuoto” quella sorta di spazio interiore dove la vera natura dell’individuo può essere contemplata.
Thomas, il protagonista de “I quindicimila passi: un resoconto”, di Vitaliano Trevisan, conta i passi. E lo fa con una precisione metodica, senza mai lasciarsi distrarre, perche il vuoto che si porta dentro va riempito di incombenze continue (contare, camminare, calcolare). Eppure il conflitto rimane. E mi riferisco alla guerra strisciante tra il desiderio di riempire quel vuoto e la tentazione di ignorarlo, sfuggendo al confronto con le nostre verità interiori. Un po’ quello che ci accade in vacanza, il tempo sospeso che molti ambiscono a trasformare in semplice evasione. È esso – al mare, in montagna, in collina, dove volete… – un’opportunità per scoprire, e forse accettare, le nostre profondità più intime, mentre cerchiamo di tenerci in equilibrio tra il riempimento e l’evitamento del nostro stesso vuoto interiore. Lucrezio aveva le idee chiare in proposito: è attraverso il vuoto che possiamo dare forma alle nostre riflessioni, nonostante, come talvolta accade, sia proprio il vuoto a invitare alla fuga, alla salvifica distrazione.