Il 10 settembre scorso ha lasciato questo mondo terreno Pio Pintarelli di Fierozzo San Felice (Val dei Mòcheni).
Era una persona di grande cultura ed un grande artista: professore di arte alle scuole superiori, pittore, scultore del legno, appassionato di minerali e astrologia.
Noi di Trentino Mese lo avevamo incontrato in due occasioni che erano state piene di spunti di interesse sia per la sua arte che per la storia della sua Valle.
Quando arrivo a casa sua Pio è seduto al tavolo della cucina dove sta lavorando di mazzuolo e scalpello: “in questi giorni è venuta a trovarci una parente del Belgio che voleva comperare uno stampo per il burro”, mi dice, “ed ho pensato di fargliene uno io in legno di noce con una stella alpina come decorazione che si riprodurrà sulla forma di burro”. Dalla finestra si vede la Valle Incantata e tutta la stanza emana arte e cultura. Il giropanca e la credenza sono pieni di libri e lo stesso i mobili, come d’altronde le mensole e gli scaffali del resto della casa. “Da tempo non vado più a sciare”, scherza Pio, “e l’unica valanga che potrebbe travolgermi è quella dei miei libri”. Sui mobili e sul davanzale ci sono alcune sue sculture in legno: molti crocefissi, un arcangelo ma anche una contadina ed un gallo.
Pio, quando hai capito di essere un artista?
“La mia maestra delle elementari era di Trento ed era un’appassionata di arte. Aveva visto che disegnavo bene e l’avevo aiutata a fare qualche lavoretto di pittura. Una volta finita la scuola dell’obbligo mi consigliò di iscrivermi alla Scuola d’Arte di Trento che era stata aperta da poco”. In realtà, dopo la terza media, Pio rimase un anno a casa ad aiutare la famiglia nei lavori di campagna. La maestra però ogni tanto tornava alla carica e Pio alla fine si iscrisse. La passione per l’arte deve avercela avuta davvero perché bisogna pensare che correva l’anno 1955 e chissà come potevano prendere a quell’epoca due genitori della Val dei Mòcheni l’idea che il figlio andasse a studiare per diventare un artista. “C’era una zia che mi consigliava di accettare. E poi eravamo dieci fratelli e per mio papà averne uno in più o uno in meno ad aiutarlo, probabilmente non cambiava molto”. Così Pio frequentò l’Istituto d’Arte a Trento e poi si laureò in Magistero a Venezia con abilitazione all’insegnamento. E da lì una vita ad insegnare arte e disegno al Liceo Scientifico Galilei di Trento ed all’Istituto per Geometri ed alla Scuola Magistrale di Rovereto.
“E una volta smesso di lavorare”?
“La mia era una famiglia contadina e qui c’era sempre qualcosa da fare: gli animali da accudire, la terra da coltivare e la legna da tagliare”. Ma dopo la pensione per Pio non poteva che esserci anche l’Arte (la maiuscola è d’obbligo visto la passione con la quale ne parla). “Ho viaggiato molto sia da solo che con altri per vedere le cose belle del mondo. Quando andavo con la scuola a fare i viaggi d’Istituto avevo dietro delle covate di ragazzi che preferivano andare nelle città grandi a fare casino piuttosto che vedere le opere d’arte. Una volta in pensione ho finalmente potuto farlo senza problemi. Una delle prime mete è stata Aquileia con i suoi mosaici antichi tra i più grandi e meglio conservati d’Europa. All’estero mi è piaciuto molto andare in Turchia, nel Bosforo e nell’antica Efeso dove ho visitato delle chiese rupestri che esistevano prima dei musulmani”.
Per un periodo Pio ha scritto in dialetto mòcheno per una pubblicazione locale, ha tenuto un corso di scultura del legno molto apprezzato; alcuni suoi disegni sono stati usati nella catechesi. “Ho anche insegnato a dei bambini a scrivere in gotico”.
Ora Pio legge molto, soprattutto libri d’arte, scolpisce e disegna. Sono opera sua, ad esempio, le baite ricreate a matita ed a carboncino (quello vero della legna bruciata!) protagoniste del calendario 2020 dell’Istituto Culturale Mòcheno: “per quelle ho ricopiato fedelmente le baite che erano state fotografate in epoche diverse, anche quelle venute a mancare a causa di valanghe o semplicemente perché sono state ristrutturate: un lavoro alla memoria delle vecchie baite”. Alla stessa maniera, ha riprodotto il ponte in legno in località Klom dopo averlo fotografato appena prima che venisse smontato per essere sostituito da uno più moderno.
Pio, qual è la tua specialità artistica?
“Senza dubbio l’affresco e il restauro dell’affresco stesso. Lo sai che gli affreschi esistevano già ai tempi di Omero e che anche gli egizi ne facevano? Ce ne sono anche nelle tombe etrusche, figurati, sottoterra. E pensare che i nemici degli affreschi sono proprio l’umidità e i funghi. In alcune tombe sono stati rinvenuti affreschi fatti cinque secoli avanti Cristo che sembra siano stati fatti oggi. L’affresco mi piace perché è una tecnica pulita, con un assorbimento evidente del colore. Bisogna essere rapidi perché un affresco si deve fare in quattro o cinque ore prima che avvenga la reazione dei silicati e dei carbonati di calcio. È una tecnica che non usa più nessuno anche perché ci sono pochi colori che resistono alla causticità della malta”. Nel 1994 Pio ha collaborato come assistente tecnico con l’iconografo Fabio Nones alla realizzazione dei vari affreschi della chiesa moderna dei tre santi a Bolzano, alcuni dei quali di dimensioni importanti: tre metri di altezza per 10 metri lineari. Ed ancora, ha collaborato con l’artista Bruno Degasperi suo amico, compagno di studi e poi collega insegnante, nella realizzazione dei grandi affreschi del Trono delle Grazie e dell’Annunciazione che decorano l’atrio esterno della chiesa di San Martino a Trento.
“E come si restaurano gli affreschi”?
“Se un affresco si sta rovinando, si può salvare riproducendolo su tela facendone anche più di una copia. Si usa un procedimento semplice che se si fosse scoperto prima avrebbe salvato qualche opera d’arte famosa come alcune di Giotto.
Una volta, quando l’affresco si rovinava si picchettava e ci si stendeva sopra uno strato di malta per poi farci sopra un altro affresco. Però così c’era sempre qualcuno che ci rimetteva e anche se era già morto il pittore precedente sicuramente si rigirava nella tomba. Adesso per restaurare un affresco si usa più o meno la stessa tecnica che serve per salvare un dipinto su tavola o su tela a tempera o a olio. Si stende sull’affresco una colla solubile come la colla di pesce e gli si applica sopra una garza. Una volta asciutta, la garza viene via in un pezzo unico. Se ci sono rimaste attaccate tracce di sabbia o polvere si grattano via. Se c’è un buchetto si usa un colore di una tinta intermedia che non sia troppo evidente. Poi si incolla con una colla insolubile su una tela o su un altro tipo di supporto. Il risultato è una copia identica all’affresco originale”.
Nel parlare della sua preferenza per la tecnica dell’affresco Pio tira in ballo anche Leonardo. “I suoi dipinti a olio come la Vergine delle rocce o come la stessa Gioconda che sicuramente sono molto belli, se li è tirati dietro per anni, mentre Michelangelo, che era un grande affrescatore, era invece più rapido. Leonardo usava altre tecniche, cercandone sempre di nuove e facendo anche delle gaffe enormi. E di questo il giovane Michelangelo ne rideva sicuramente perché tra i due c’era una certa competizione, infatti il marmo che servì a Michelangelo per fare il David, in origine era per Leonardo. E qui Pio parte con uno spassoso dialogo immaginario in dialetto tra i due dove Michelangelo si rivolge così a Leonardo: “te sei vecio, te trema la man, lasemel far a mi”.
Pio, ci racconti un aneddoto sulla tua arte?
“A me viene da ridere quando nelle chiese e nei musei ti proibiscono di fare le foto con il flash agli affreschi. Per quanto riguarda i dipinti a olio sono d’accordo. Ma non farle agli affreschi è una cavolata. Gli affreschi non si rovinano con la luce. Una volta mi è capitato di fare un disegno sul muro di una villa. Il proprietario lo voleva a tutti i costi a olio. Io ho tentato di convincerlo a fare un affresco ma senza che lui mi ascoltasse. Il sole l’ha rovinato e ho dovuto farlo un’altra volta e il sole lo ha fatto colare di nuovo. Alla terza volta finalmente ho potuto fare un affresco che non è più sceso”.
Pio Pintarelli ha tra i suoi interessi anche quello per l’astronomia. Quando insegnava, con un collega professore e con i tecnici del laboratorio scolastico, costruì un telescopio per guardare le stelle che in Val dei Mòcheni si vedono meglio perché l’inquinamento luminoso è minore che in altri posti. “Ci documentavamo sul passaggio delle comete e con una certa pratica e con l’uso di un dispositivo che si muoveva sull’asse terrestre eravamo in grado di fotografarle. Riuscendo a trovare la luce giusta e dopo vari tentativi riuscivamo a “fermare” le comete. Mi ricordo che ce n’era una molto tenue scoperta da un astronomo giapponese. La prima sera ero riuscito a vedere questo batuffolo di luce appena in tempo. La sera dopo c’era praticamente tutto il Galilei sui prati vicino a casa ma c’era un po’ più di foschia e non siamo riusciti a vedere niente”.
In più occasioni, ha accompagnato Flavio Faganello nella ricerca delle immagini per il libro “La Valle dei Mòcheni”, che Faganello realizzò con Aldo Gorfer. Libro che sfogliamo insieme e Pio, nel raccontarmi di questo e di quel luogo e di quante persone ritratte nelle foto non ci sono più, mi fa vedere quelle dove tra gli altri è stato ritratto anche lui. Come abbiamo già detto Pio ha sempre messo a disposizione della sua amata valle le sue capacità artistiche. “Quando ero ragazzo don Angelo, il prete della chiesa di San Felice, mi chiese di dipingere un angelo che incensa su una finestra cieca. E sempre a San Felice, vicino alla Caserma dei Vigili del Fuoco, c’è un capitello che Pio ha affrescato con le immagini di San Lorenzo e Santa Barbara i cui colori pastello sono molto vivi e danno una sensazione di calore molto diversa da quella che spesso si ha vedendo opere religiose di questo genere.
E per il futuro cosa hai in ballo Pio?
“In questo periodo sto portando avanti un progetto con il mio amico Bruno Degasperi: proprio qui sotto, in fondo alla stradina che passa vicino a casa mia, c’è una cappellina. Io e Bruno stiamo facendo i disegni in scala dei soggetti religiosi che riprodurremo nella cappellina sotto forma di affresco”. E quello sarà sicuramente l’occasione giusta per un’altra visita a casa di Pio.