L’aura: mulinelli nel flusso dei ricordi

Ogni luogo ha le sue mitologie, talvolta esplicite altre volte dimenticate o sommerse dalla storia. Come le opere d’arte, questi luoghi sono circondati da un’aura, uno spazio dove il tempo si annulla, dove l’aria sottile ti sfiora facendoti capire che stai calpestando una terra, costeggiando uno stagno, attraversando un prato nel quale lo sguardo rimane stordito. Aura è una parola riscoperta dai romantici, i Romani usavano parlare di luoghi geniali (il genius loci), i greci dicevano luoghi demonici.

Tra la moltitudine di questi luoghi, quello che rimane forse il più affascinante non è una zona circoscritta ma è un altopiano fatto di cime incantate, foreste che nascondono chiese astronomiche, menhir e dolmen, laghi che conducono all’oblio, dossi e radure che portano il termine di Hexen-streghe, castelli incantati, giganti diventati piramidi di terra, e Wolfsgruben, ovvero buche per intrappolare i lupi-animali totemici. Parliamo del Renon, la catena porfirica rosso sangue, la montagna che s’innalza da Bolzano per terminare a Vipiteno, coincidente con i Sarentini orientali. Qui nel passato s’incontravano le tre comunità del Monte Ritena, come veniva chiamato un tempo questo magico altopiano. I Clupilina, gli Acubla e gli Isara (diventati con il tempo gli Isarci, gli abitanti della valle dell’Isarco) si riunivano sul Galgenphil, cristianizzato poi con il nome di Hexenphil, il colle delle streghe, per discutere i temi della quotidianità, offrendo doni in natura a Yni, la romana Giunone, e a Lavis, il dio delle sorgenti. Come si evince dalle incisioni riscontrate su di un lituo, una bacchetta magica usata dagli sciamani di cui abbiamo testimonianza grafica nel petroglifo del Colbricon (Lagorai), i due nomi erano cari ai Reti del luogo. A Yni si chiedeva fertilità e fecondità ma soprattutto la si invocava per il parto, come avveniva a Roma con Giunone Licinia. I suoi attributi sono stati poi incorporati da Sant’Anna, madre della Vergine, e da Maria stessa, chiamata dalle donne «in alte grida» come ci ricorda Dante. Nel lago di Costalovara e nel più selvaggio Schwarze Lacke, il Lago Nero (ora impaludato), si danzava per il culto delle acque affinché Lavis continuasse a far sgorgare l’acqua e a portare la vita. 

Sul Renon la cristianizzazione ebbe vita non facile se nel medioevo inoltrato abbiamo testimonianza di un patibolo eretto quassù per uccidere i numerosi pagani che ancor vi vivevano, perseguitati dal giudice inquisitorie chiamato de Lapide, nome riportato dalle cronache, inviato dal principe vescovo tridentino per seguire i processi di maleficio, stregonerie e pruderie sataniche.

Quassù, sopra il lago di Costalovara, immerso nella foresta, si erge ancora un enorme menhir sonoro, alto quanto due persone, con la sommità incisa a V e su questa incastrato un masso triangolare. A pochi metri un dolmen enorme, purtroppo spezzato. Poche centinaia di metri verso est si trova ancor oggi uno spezzone dell’antica via Romana che ha collegato, fino al 1314 – data dell’apertura della Kunterweg, la strada di fondovalle –, Bolzano a Chiusa.

I lati del menhir riportano incisioni cruciformi a testimonianza di una cristianizzazione portata in ogni dove affinché gli antichi dèi, se non proprio i luoghi, venissero dimenticati.

Oggi, in un mondo fatto di persone e oggetti in serie che non irradiano nulla, la fuga sul Renon rimane uno spiraglio di saperi ancora uniti dove la sovrapposizione d’un archetipo – segno archeologico, leggenda, simbolo, storia sussurrata e mai gridata – alla nostra percezione suscita la rispondenza tra realtà esterna e segreto interiore. Da qui nasce l’aura, dalla memoria costellata di fatti lontani che fra loro formano mulinelli nel flusso dei ricordi, aprendo vortici dove roteano svasati in una coincidenza, in una simultaneità inspiegabile razionalmente, elementi che dovrebbero essere separati dal tempo e dallo spazio e invece ne sono fusi e coagulati.

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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com