Già la foto messa in copertina, con una serie di gabbiette accatastate in cui allibiti canarini scrutano perplessi il proprio futuro, è sufficiente concentrarsi su quella fotografia per prepararsi al salto quantico culturale richiesto da Serge Latouche in un saggio, il cui titolo è già tutto una dichiarazione programmatica: “Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto” (Bollati Boringhieri, pag. 92, € 12). Agile libello, ma di enorme peso specifico, dunque, come è lecito aspettarsi da uno come Latouche, che in quste pagine ci confida che qualcosa nel mondo non sta andando per il verso giusto. Affermazione tanto ovvia quanto troppe volte, pericolosamente, data per scontata. Il profeta della “decrescita” parla della mercificazione del mondo attualmente in atto, un “gioco al massacro a livello planetario”. Nella società occidentale contemporanea il lavoro è oggetto di affermazioni contraddittorie. La sua scomparsa pre- occupa, ma al tempo stesso è vista come un’utopia, tanto dalle élite politico-economiche quanto dall’opinione pubblica. Quel che è certo, ci spiega Serge Latouche, è che le tre promesse della modernità avanzata – lavorare meno guadagnando sempre di più grazie alla società dell’abbondanza, lavorare tutti in modo sempre più piacevole grazie alla civiltà del tempo libero e, in futuro, non lavorare più grazie alle nuove tecnologie – si rivelano del tutto mistificatorie se collocate all’interno della società odierna, poiché incompatibili per loro natura con il modello dell’economia capitalistica.
La soluzione? Sta nella rottura con la logica capitalistica e nella rinuncia al mito della ricchezza e della produttività incontrollata. La risposta è la decrescita, l’unica che ci permetterebbe di realizzare le tre promesse tradite.