Le esplorazioni interiori di Paolo Vivian

Fratelli d’Italia

Figlio di un operaio dell’edilizia che aveva lavorato per anni in Svizzera, Paolo Vivian abita in cima alla valle dei Mocheni, a Palù del Fersina, lavorando nel suo laboratorio d’arte; ma è nato all’inizio della Valle, a Serso di Pergine, nel 1962. Diplomato all’ENAIP di Villazzano ha lavorato per nove anni come assistente all’Ospedale psichiatrico di Pergine, per poi divenire autista d’autoambulanza. Tra un turno e l’altro ha trovato il tempo di dedicarsi alla sua passione, quella artistica. Al manicomio di Pergine – ora chiuso da anni – lavorava anche Carlo Girardi, uno dei più importanti pittori degli ultimi decenni: è da lui che ha ricevuto le prime “dritte“ pittoriche. Per anni ha frequentato a Trento il Gruppo Arti Visuali, poi i corsi di scultura del cembrano Egidio Petri.

Ed è pronto per le sue prime esposizioni (la sua prima personale è del 1998, nella Sala Comunale di Baselga di Piné), i Simposi, i Festival, sia in Italia che all’estero. È bravo, usa vari materiali, non solo il legno (di cui è fatta l’anima della Val dei Mocheni che per secoli si è mossa con ingranaggi di legno…); ma anche le pietre, il marmo, le resine, il ferro, il bronzo… È un artista polimaterico, che guarda con curiosità e studia le forme più diverse, dislocate diacronicamente nella storia e nelle culture apparentemente più lontane. Con un invidiabile curriculum, vince premi in Francia e Lussemburgo, realizza opere pubbliche, oltre che in Italia, in vari paesi del mondo: in Francia, Germania, Polonia, Austria, Olanda, Bulgaria e addirittura in Cina (in quest’ultimo lontano paese ha anche esposto), partecipando a esposizioni sempre più importanti: in Trentino a Castel Ivano, nello spazio Klien a Borgo Valsugana; nel 2014 è artista dell’anno nella sua Pergine Valsugana, dove il Comune gli dedica una grande antologica con catalogo; in Alto Adige, nell’Abbazia di Novacella; in altre regioni al Museo della Porziuncola, ad Assisi; a Genova a Palazzo Ducale; all’estero in Lussemburgo, Lituania, Bulgaria.

Cromosoma

Presentando la mostra di Vivian a Rovereto, nel 2005, Mario Cossali mette in evidenza soprattutto due componenti nella produzione artistica del nostro artista: ”lo slancio epico verso l’alto” e “il totemico coinvolgimento degli esseri umani con i simboli del divino”. Paolo si è finora presentato in oltre venti personali in Italia, Bulgaria e Lituania. Parliamo allora della sua ultima, dal titolo Tabula Rasa, aperta a cavallo del 2021/2022, negli spazi della Galleria Contempo, nella storica Via Mayer di Pergine Valsugana. La “Contempo” è una nuova galleria aperta coraggiosamente (con l’appoggio di Vivian) dalla storica dell’arte bulgara Dora Bulart, che vive in Italia da quattro anni. Scrive la Bulart nel catalogo: ”Il progetto Tabula Rasa di Paolo Vivian è un risultato creativo spontaneo di ricerche e riflessioni, provocate dalla crisi creatasi a causa della pandemia Covid 19…” Lo scenario che stiamo vivendo da oltre due anni – il più angosciante dalla fine della Seconda guerra mondiale – in cui si scontrano su confini invisibili salute e malattia, luci e oscurità, razionalità e irrazionalità, positività e negatività, vita e morte, è un quadro drammatico che ci impone improrogabilmente la necessità della riflessione. E il nostro artista ci pone una ridda di domande che è impossibile ignorare. Sono trenta le opere esposte in questa mostra, tutte degli ultimi cinque anni. Dice bene la Bulart: “Trenta appunti di un viaggio interiore trasformate in fuga da una realtà inaccettabile e da una solitudine forzata. Un caos ordinato tra realtà perplessa e una speranza vitale per un domani possibile, dove solo l’amore potrebbe avere una forza centripeta”.

Silentium

Personalmente gli elementi che mi hanno sin dall’inizio intrigato in queste sue opere sono i supporti: vale a dire i fondi di rete metallica da cui si sviluppa l’opera. Sono reti metalliche di differente disegno, con le maglie che variano gli spazi, la cui prima funzione è quella di fare da sfondo e, allo stesso tempo da agganciamento. Come in Fratelli d’Italia (2020), in cui la battuta iniziale dell’inno è rappresentata dalle note musicali colorate che sbocciano dalla rete metallica su legnetti aggettanti. Le reti metalliche, di disegni variabili, aprono continui spazi di pieni e di vuoti, suggeriscono l’idea di reti che ci avvolgono, ci imprigionano, da cui dobbiamo assolutamente liberarci, se ci vogliamo salvare. La memoria è un inesauribile campo d’indagine per Vivian: “L’arte mi permette di liberare la mente facendomi attraversare dai detriti della memoria, tramite i quali vivo e creo la mia libertà”. E il nostro artista oggettiva artisticamente quelli che lui chiama ”nidi di memorie” utilizzando candidi frammenti di marmo, dischetti di legno verniciato, gettoni di ferro lucidato: in lavori misti in creazioni in cui non puoi distinguere tra pittura e scultura. Sono lavori polimaterici nei quali tuttavia il legno (segato, tornito, trovato, assemblato, colorato, combusto), per via dell’anima dell’artista – montanara, trentina, mochena – rimane il suo materiale prediletto. E, a proposito di materiali, uno, decisamente inusuale, lo ha utilizzato nell’opera Siero ergo sum (2020) raccogliendo la sua urina dall’1 al 20 aprile 2020, chiudendola in 20 provette; con il liquido che varia di colore, inserendola in una cornice di legno dipinto in rosso (un dei suoi colori prediletti assieme al blu e al nero). Una provocazione alla Pietro Manzoni? Assolutamente no: Paolo è un mite, tutto fuorché un provocatore, un’esibizionista…Si tratta invece di una testimonianza di vita, di un’affermazione dì esistenza, di una speranza di salute, di un inno a un liquido fisiologico vitale. Questo anche per sfatare eventuali sospetti di cerebralismo in questo artista tranquillo, quanto sicuro nelle sue convinzioni, maturate gradualmente nel tempo con il passo sicuro e tenace del montanaro.

Barcode del caos ordinato
Gabbia-Rabbia
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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.