Le grandi narrazioni che provocano il discrimine

La cosa si sta facendo invero monotona. Per tredicimila lunghi anni – che in fondo non sono pochi – i maschi hanno dominato sulle femmine in gran parte del pianeta. E vabbè, sai che novità, direte voi. Lo sanno pure i bambini dell’asilo. Poi però due secoli di movimenti, organizzazioni, femminismi, nuovi beni di consumo, la pillola anticoncezionale e forse anche il caso, ci hanno portati all’oggi: questo strano spazio-tempo che pare un miscuglio ibrido di uguaglianza professata e disuguaglianza praticata.

Pari opportunità sulla carta che spuntano ovunque si mescolano a impari mancanze di opportunità nel mondo reale. Narrazioni di donne forti, vincenti, body positive, si mischiano a donne uccise dai compagni, alle veline di Striscia la Notizia che ancora oggi danzano ignude e provocanti in prima serata, come se niente fosse, come se nulla fosse accaduto, come se fossimo ancora nel tredicimila avanti Cristo. A guardare questo tempo, non si può non dare ragione al buon vecchio Eraclito, che diceva che tutto scorre e tutto cambia, si ok, ma non ci ha detto che esiste anche una forza oscura che fa sembrare tutto immutabile, che resiste al cambiamento con tutte le forze. E quindi nell’oggi un po’ schizofrenico in cui tutti dicono di amare la parità di genere e quasi nessuno però la pratica per davvero, in più occasioni pubbliche è successo il patatrac.

A capodanno del 2022, a Milano in Piazza Duomo, decine di ragazze sono state molestate: a qualcuna hanno strappato gli indumenti, altre sono state palpeggiate, strattonate, tirate da una parte e dell’altra da un branco di giovani maschi che “volevano divertirsi”. E poi di nuovo scene simili qualche giorno fa, alla parata degli Alpini di Rimini: molestie e palpeggiamenti di gruppi maschili a danno di giovani donne. C’è chi sminuisce gli eventi dicendo che sono “goliardate”. Chi si lamenta che ormai pure il complimento è diventato una molestia.

Il problema però è un altro, cioè che siamo sempre immersi in quello schema vecchio tredicimila anni: “Tu, cara donna, sei la nostra (del branco) preda”. Possibile che noi esseri umani riusciamo a cambiare tutto, i nostri modi di vivere, le lingue che parliamo, i modi in cui lavoriamo e mangiamo, creiamo robot, computer intelligenti, navighiamo nello spazio, ma poi non riusciamo a uscire dagli schemi del dominio di un genere sull’altro?

Esiste un modo per riuscirci? 

Per ora uno dei settori che più si sta sforzando di lavorare sulla grande uscita culturale dallo schema del dominio di genere è proprio la scuola. Anche questa istituzione sembra immutabile, ma è uno dei grandi centri propulsori di innovazione, specie in questi anni.

A Trento ci sono scuole che hanno investito soldi ed energie con l’intento di riequilibrare lo squilibrio di genere. All’ITE Tambosi si è appena concluso un ciclo intitolato “Altre Storie” promosso dalla prof.ssa Lorenza Pamato e che ha visto relatrici del calibro di Fernanda Alfieri dell’Università degli Studi di Bologna,  Mariapia Bigaran dell’Ite Tambosi, Laura Gaffuri dell’Università degli Studi di Torino, Carla Noce dell’Università degli Studi di RomaTre e la sottoscritta per il Centro Studi religiosi della Fondazione Bruno Kessler. L’idea di fondo del progetto è stata quella di raccontare la storia da un punto di vista femminile. I grandi temi del passato, quelli che, appunto, si studiano nel percorso curricolare, sono stati approfonditi attraverso voci di docenti e ricercatrici che si sono focalizzate sulla storia delle donne e i fenomeni religiosi, sociali ed economici che interessano il genere femminile. Chi scrive ha parlato di femminismo islamico, della questione del velo, della complicata sovrapposizione tra discriminazione di genere, religiosa ed etnica.

Le grandi narrazioni vanno smontate partendo dal basso. E oggi la scuola rappresenta la frontiera in cui si negoziano le spinte innovatrici, quelle della resistenza e della resilienza, con uno sguardo al futuro, nella speranza che sia sempre più egalitario per tutti e tutte.

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Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).