Tutto cominciò con la legge provinciale nr. 1 del 7 novembre 1951, relativa all’agevolazione dell’accesso al credito per gli artigiani. Fu la prima legge provinciale approvata in Trentino. La più recente (almeno fino al momento in cui scriviamo) è la legge nr. 5 approvata il 17 aprile del 2024, che introduce le celebrazioni in onore del parlamentare Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti. Tra queste date, il Consiglio provinciale ha approvato 1514 leggi. Scuola, turismo, urbanistica, minoranze linguistiche, sanità, pari opportunità, relazioni con l’Europa, tributi, democrazia diretta: la vastità dei temi su cui il Consiglio provinciale si è trovato a intervenire dimostra l’ampiezza dell’Autonomia trentina. Ma come nasce una legge provinciale? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sartori, segretario generale del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento. Coordina la struttura a supporto delle attività istituzionali, assiste i consiglieri provinciali nei lavori d’aula, si interfaccia con le altre istituzioni, gestisce gli archivi. «L’elaborazione di una legge provinciale segue una procedura articolata che parte dalle commissioni legislative, passa per il dibattito in aula e culmina nella pubblicazione sul bollettino ufficiale della Provincia – ha spiegato Sartori – Le procedure sono stabilite dalle norme ed è fondamentale sia così: in democrazia la forma è sostanza».
DALLE URNE ELETTORALI ALL’AULA CONSILIARE
«L’elezione diretta del presidente della Giunta provinciale, introdotta con la riforma della legge elettorale nel 2003, ha modificato l’equilibrio tra la Giunta ed il Consiglio provinciale», ha indicato Sartori. Il candidato presidente si presenta all’elettorato e indica le priorità politiche da attuare. Qualora sia premiato dall’elettorato, il candidato assume la carica di presidente di Giunta e i punti del programma elettorale diventano le linee guida per la formulazione di nuove leggi e per la riforma di leggi precedenti. La Giunta, che è composta dal presidente e dagli assessori e rappresenta il “governo” della Provincia, propone al Consiglio provinciale i suoi disegni di legge per l’approvazione: essi rappresentano gli atti politici e normativi che spesso caratterizzano la legislatura e rispetto ai quali i consiglieri provinciali hanno la facoltà di proporre modifiche. I consiglieri possono avanzare proposte di legge di loro iniziativa. «Il consigliere provinciale può presentare una proposta di legge su un tema di cui è portatore e può avvalersi della consulenza degli uffici legislativi del Consiglio, organi competenti che possono dare suggerimenti sulla formulazione della legge, anche se questo passaggio non è obbligatorio. Il consigliere è titolato a presentare il disegno di legge come lo ritiene più adeguato», ha spiegato Sartori.
La proposta di legge arriva in un primo momento in commissione legislativa, dove i consiglieri (qui definiti commissari) valutano l’impianto della legge e propongono modifiche, anche avvalendosi del parere di associazioni, sindacati, esperti, portatori di interessi, che vengono ascoltati durante sessioni chiamate “audizioni”.
IL DIBATTITO IN AULA
Terminate le consultazioni in commissione, la proposta di legge approda in aula ed inizia il dibattito tra i consiglieri. La Giunta dà un parere positivo o negativo sulla proposta di legge, di cui l’aula tiene conto. «Ogni consigliere ha il diritto di intervenire nella discussione e lo fa seguendo le regole del dibattito democratico. In democrazia, la forma è anche sostanza», ha sottolineato Sartori. Le tempistiche degli interventi sono descritte nei regolamenti d’aula. Il presidente del Consiglio provinciale è la figura titolata a far rispettare queste regole. La minoranza può avvalersi dello strumento dell’ostruzionismo: si presentano tantissimi emendamenti (a volte migliaia) per rallentare l’approvazione della legge. Ma ci sono alcune tipologie di legge che sono “protette” dall’ostruzionismo: ad esempio le leggi di bilancio o i disegni di legge dichiarati urgenti. In quei casi i tempi di discussione possono essere contingentati, ma gli emendamenti devono essere comunque vagliati, pur in maniera sintetica. Si arriva poi al voto finale. «Se la legge è bocciata, il consigliere proponente potrebbe anche riproporla, ma non è consuetudine – ha indicato Sartori. Capita invece che il Consiglio non voglia né approvare né bocciare una legge: in quei casi si può decidere di rimandarla nelle commissioni per un supplemento di discussione». Se la legge è approvata, viene promulgata dal presidente della Provincia e passa attraverso un ulteriore raffinamento formale da parte degli uffici legislativi e poi viene pubblicata sul bollettino provinciale.
STRUMENTI DI DEMOCRAZIA DIRETTA
«Esistono istituti di democrazia diretta con cui i cittadini possono presentare le leggi di iniziativa popolare», ha sottolineato Sartori. Una volta raccolte 2500 firme (500 se riguarda le minoranze linguistiche), i gruppi di cittadini possono presentare le loro proposte. In generale, è il presidente insieme alla conferenza dei capigruppo, ovvero l’organo che raccoglie i coordinatori delle forze politiche rappresentate in Consiglio, che valuta quando inserire in calendario una legge di iniziativa popolare. Successivamente, viene calendarizzata la discussione nelle commissioni e poi la proposta di legge di iniziativa popolare può approdare in aula. Se il Consiglio non inizia l’esame in commissione della proposta entro ventiquattro mesi dalla presentazione, essa è sottoposta a referendum popolare; se l’esito è favorevole e ha partecipato al referendum almeno il 50 per cento degli aventi diritto al voto, la legge viene promulgata.
IL RUOLO DEGLI UFFICI
«Il ruolo del personale del servizio legislativo è importante per assicurare una corretta costruzione delle leggi, ma, al di fuori dei casi in cui si ragiona su aspetti giuridici quali la legittimità di una norma, è indispensabile per un “tecnico” scindere le proprie opinioni da quelle del politico con cui si interagisce», riflette Sartori. «Ognuno di noi ha un suo portato di idee, ma il prerequisito per fare questo lavoro è spogliarsi delle proprie opinioni perché siamo consapevoli che il dovere dell’indirizzo politico è facoltà dell’eletto, ha una legittimazione dal voto popolare che noi “tecnici” non abbiamo. Per questo i nostri sono solo suggerimenti, consigli, mai sostituzioni di idee».