La cooperativa sociale Le Rais di Cavalese da oltre tre anni ha unito progetti sociali a imprenditoria turistica: un ristorante e alcune stanze in formula bed and breakfast nel centro del capoluogo della Val di Fiemme e una casa per ferie a Pozza di Fassa, a cui si aggiunge ora un appartamento per otto persone, il tutto accessibile e gestito da persone con disabilità fisiche e cognitive o fragilità sociali che partecipano a progetti formativi e di inserimento lavorativo promossi dalla cooperativa stessa.
Viaggiare, fare vacanza, partecipare a eventi, avere la possibilità di una vita autonoma sembrano essere possibilità scontate, ma non è così per tutti. Per le persone con disabilità, infatti, questi somigliano più a veri e propri privilegi: «Molto spesso – racconta Federico Comini, presidente della Cooperativa Le Rais – le persone con disabilità non hanno vita semplice in vacanza: nella comunità è diffuso uno spirito di adattamento altissimo ma le vacanze dovrebbero essere riposo e relax. Ultimamente per esempio abbiamo avuto richiesta per l’appartamento da una famiglia con figli con disabilità complessa, con necessità particolari rispetto a carrozzine ingombranti. Hanno giustamente chiesto dei video per accertarsi che tutto fosse come lo raccontavamo e la loro risposta è stata “finalmente non dobbiamo adattarci”». Ormai però, la presenza di strutture ricettive sbarrierate sembra essere sempre più una necessità: «Da un confronto con ApT e Sportabili, realtà che si occupa di rendere disponibili esperienze sportive a persone con disabilità, è emersa la richiesta di strutture ricettive accessibili, inclusive e confortevoli», prosegue il presidente. «Non possiamo farci trovare impreparati alle Olimpiadi invernali Fiemme 2026, ma soprattutto non possiamo farci trovare impreparati ai giochi paralimpici nello stesso anno».
Il modello della cooperativa Le Rais, infatti, ha una visione imprenditoriale, oltre a un’attenzione ai temi sociali: «Abbiamo scelto di occuparci di ricettività e ristorazione perché viviamo un territorio a vocazione turistica e questo ci permette di autofinanziare i nostri progetti all’80% con i guadagni delle nostre attività. Questo ci consente di mantenere la nostra indipendenza, oltre che far vivere ai ragazzi e alle ragazze che partecipano ai progetti di inserimento lavorativo esperienze che si avvicinano molto a quelle dell’economia reale. Al termine dei percorsi spesso assumiamo i giovani che abbiamo formato, ma non è raro che trovino lavoro in strutture del territorio o che decidano, dopo un periodo nelle nostre realtà, di cercare altre occupazioni perché sentono la necessità di misurarsi con il mondo esterno».
Gli utenti della cooperativa Le rais sono per lo più giovani persone con disabilità fisiche, cognitive o fragilità sociali tra i 16 e i 26 anni, che spesso arrivano da percorsi scolastici difficoltosi e che trovano nella formazione proposta dalla cooperativa la possibilità di imparare un mestiere, acquisire competenze tecniche e relazionali, guadagnare autonomia: «Creiamo un continuum con l’obbligo scolastico – spiega Comini – e abbiamo un’ottima collaborazione con la scuola Enaip di Cavalese che include la formazione alberghiera, ma il problema dei ragazzi con disabilità è che terminano la scuola con un diploma ma con competenze lontane da quelle necessarie a mettersi sul mercato del lavoro».
L’esperienza della cooperativa Le Rais non solo dice che percorsi di questo tipo sono possibili, ma che possono essere anche di successo: «Uno dei primi ragazzi inserito nei nostri progetti ha fatto tutto il percorso di formazione ed è stato assunto un anno da noi. Poi ha sentito la necessità di uscire da quella zona di comfort e la scorsa stagione estiva ha lavorato per lo chef stellato Alessandro Gilmozzi, qui a Cavalese. Si tratta di un’eccezione, ma è un percorso di cui andiamo molto fieri».
Le relazioni sul territorio sono una grande risorsa: «Abbiamo scelto di aprire un ristorante oltre che strutture di ospitalità per entrare in relazione anche con la comunità locale perché pensiamo al nostro progetto non solo come sociale o educativo ma anche culturale. Siamo convinti che grazie al contatto diretto con la comunità sensibilizziamo i cittadini a vedere la diversità come ricchezza, a sentirsi parte di una comunità aperta alla fragilità». E la conferma che questo sia un approccio vincente arriva anche in modo estremamente tangibile: «Proprio come era stato per il ristorante, finanziato da una campagna di crowdfunding di successo che in poche settimane ci aveva permesso di raccogliere ben oltre i 20mila euro necessari per il rinnovo dei locali e l’acquisto dell’attrezzatura. Dai contributi dei singoli alle aziende locali, gran parte delle donazioni arriva infatti dal territorio». I lavori di ristrutturazione dell’appartamento sono stati finanziati da una cena, con risorse proprie della cooperativa, con contributi provinciali e del Bim e con il Superbonus. A questi si aggiunge una modalità che da sempre la cooperativa mette in campo per finanziare i propri progetti o sostenere raccolte fondi per altri, il coperto sociale: «Si tratta di devolvere un euro del nostro coperto a progetti in cui crediamo o per finanziare parte dei nostri. Per esempio, allo scoppio della guerra in Ucraina abbiamo sostenuto il progetto per rifugiati minorenni di Save the children, ultimamente abbiamo partecipato alla raccolta fondi per una famiglia in difficoltà della nostra valle e una parte del coperto sociale dell’anno è anche andato nella ristrutturazione dell’appartamento».
La cooperativa Le Rais rappresenta un modello contemporaneo di guardare al sociale, che mette da parte pietismo e assistenzialismo per dare spazio invece a modelli di sostegno all’autonomia delle persone con disabilità attraverso un approccio all’accessibilità che non è solo fisico: «L’accessibilità relazionale è un tema che ci sta molto a cuore – conclude il presidente – servono formazione e attenzione per fare in modo che persone con disabilità che lavorano o che arrivano a cena o in vacanza si sentano a loro agio, in un ambiente accogliente». E in fondo, non è questo quel che ognuno e ognuna di noi cerca nell’ambiente di lavoro, a cena fuori o in vacanza?