Le sorprese della vita


È  la risposta che ci sentiamo dire quando ci lamentiamo di un po’ di noia quotidiana. Non si contano i romanzi e le canzoni che ne hanno fatto un successo. Rappresenta quell’ultima àncora di speranza quando sembra che tutto vada storto. 

“Quando meno te lo aspetti, la vita ti sorprende”: amata e odiata, temuta e agognata, questa espressione è quanto meno familiare a buona parte di noi. 

Ma cosa significa davvero? Come si presentano le sorprese nella vita? Quanto bisogna essere pronti a cogliere le occasioni al volo? Quanta fiducia nel futuro serve per credere davvero che il meglio debba ancora venire? Non abbiamo trovato esperti per rispondere a queste domande, ma in soccorso arrivano le storie. Storie di vite che hanno saputo sorprendere le stesse persone che le stavano vivendo. Epifanie inaspettate. Sgambetti del destino. Cambiamenti meditati, attesi, posticipati e poi finalmente arrivati. Sorprese, belle o terribili. Spesso poche risposte e nuove domande.

GRETA RUARO, Primiero

Greta Ruaro ha 35 anni e da bambina amava i libri di Roald Dahl. I suoi genitori avevano per lei il desiderio di un titolo accademico e così si iscrive a Ingegneria: «Mi sono accorta presto che quella non era la mia strada – racconta -. Fare mille sacrifici per accontentare altre persone non va bene: prima o poi scoppi». E così per Greta Ruaro, che prende il coraggio a due mani, si concede un anno sabbatico e decide di iscriversi a un corso di cioccolateria «perché – spiega – era la cosa che mi sembrava più lontana dall’ingegneria. L’amore per Roald Dahl e della sua “Fabbrica di Cioccolato” – ricorda – è tornato vivo mentre imparavo a fare i dolci e ogni volta che tento di inventare qualcosa di buonissimo, proprio come accade nel libro». Al termine dell’anno di formazione è tempo di decidere cosa fare: «Tra alti e bassi il corso è terminato – continua Greta – e poco dopo mi hanno proposto uno spazio a Transacqua proprio di fronte a dove vivo con mio marito. Tutto stava diventando reale: uno spazio significava poter aprire il mio laboratorio di cioccolateria». Così Greta congela la carriera universitaria in via definitiva, inizia la necessaria formazione per poter aprire un laboratorio dolciario e a districarsi nella giungla della burocrazia: «È la parte peggiore – afferma – ci ho messo un anno prima di poter iniziare i lavori. Finalmente sono riuscita ad aprire Dolcinella, la mia cioccolateria e dopo sei mesi ho avuto un problema alla schiena che ha richiesto intervento e riabilitazione. Era il 2019: indovina cosa è successo poco dopo?». Il 2020 è un anno noto alle cronache, ma Greta dopo il lockdown ritorna in laboratorio e riprende il suo lavoro. È finalista dell’edizione 2022 di Strike!, il contest per under 35 che premia storie di soddisfazione personale, con ricadute positive sulla società. Ma le sorprese per Greta Ruaro non sono finite: «Da qualche mese – prosegue – ho saputo che lo spazio dove ho il laboratorio verrà venduto e non c’è alcun modo per riuscire a tenere aperto. Ora sto gestendo il periodo pasquale e poi deciderò cosa fare: un corso per diventare educatrice per cani oppure una casa in Costarica?», conclude ridendo. 

Greta Ruaro ha il tono di voce di chi non si arrende e lei stessa, ammette, a volte si stupisce della sua forza d’animo: «Mi sono sorpresa di riuscire a portare avanti tutto nonostante le fatiche: nella vita non me ne è andata dritta una. Poi penso alle persone che considero fortunate, quelle che hanno studiato per il lavoro che poi hanno trovato, hanno due figli, una casa con il giardino e il cane: a volte le invidio – conclude – a volte mi chiedo come fanno a non annoiarsi!». Rifarebbe tutto? «Da dove dovrei ripartire? E se si torna indietro nel tempo si è ancora chi si era nel momento o si torna a quel tempo ma diventati ciò che si è? E chi siamo diventati quanto dipende da quel che poi vorremmo cambiare?»

ALESSANDRO HUELLER, Roncegno

«Esattamente due anni fa ero ancora in ospedale. Mi hanno dimesso l’8 maggio 2021, dopo 82 giorni di ricovero, un viaggio all’inferno e ritorno»: inizia così la storia di Alessandro Hueller, poco più che sessantenne di Roncegno. 

Il suo viaggio all’inferno è un’infezione da Covid-19 che lo ha portato prima all’ospedale di Borgo per poi finire in terapia intensiva a Trento e Rovereto e concludersi con un periodo di riabilitazione ad Arco. 

«Ricordo l’ospedale di Borgo e il trasferimento a Trento – racconta -, da lì più nulla. Sono stato in coma 16 giorni e quando mi sono svegliato è iniziato il peggio. Non funzionava nulla: la voce, le mani, le gambe». Ma il peggio non era questo: «Probabilmente a causa dei farmaci, al risveglio ero convinto di aver fatto un incidente in auto, di aver investito una decina di bambini della scuola materna che passeggiava lungo il ciglio della strada per una gita». Alessandro non vuole contatti con l’esterno, è terrorizzato: «Sapevo di avere una vita sociale nel mio paese, avevo paura che mi considerassero un mostro. Mi rifiutavo di chiamare mia sorella e mia nipote per chiedere cosa fosse accaduto. Ci sono stati momenti in cui ho pensato non avesse nessun senso vivere». Lentamente questi pensieri negativi si affievoliscono, le braccia e le gambe riprendono a funzionare, Alessandro riprende fiducia anche grazie a una sorpresa inaspettata: «Nel vedermi abbattuto medici e infermieri, seppur con tutte le necessarie precauzioni, fecero entrare in ospedale a trovarmi il mio compagno e la sua visita mi ha dato l’energia che avevo perso». Da quel momento piccoli grandi progressi hanno segnato la guarigione di Alessandro, tra gli ultimi tempi in ospedale e il trasferimento ad Arco per la riabilitazione: «Ho ripreso a camminare, seppur inizialmente con il deambulatore, ad essere indipendente per andare in bagno, riuscivo finalmente ad alzarmi da solo dal letto». Il 5 maggio era il suo compleanno e quel giorno del 2021 sperava tanto di poter tornare a casa: «Ho sperato fino all’ultimo di poter festeggiare il mio compleanno insieme ai miei cari, ma anche in ospedale ho trovato una sorpresa: non avevo detto che era il giorno del mio compleanno ma al rientro dalla fisioterapia ho trovato un regalo e un biglietto di auguri. Ero commosso: in quel periodo ero come un bambino, mi emozionavo molto». Questo è solo uno degli episodi che Alessandro racconta per sottolineare la sua gratitudine nei confronti di medici, infermieri e sanitari in generale: «Ho sempre avuto attenzione, cure e un sorriso dal personale sanitario. Essere circondato da persone sorridenti ha aiutato molto il mio recupero. Il mio giudizio sulla sanità è molto cambiato dopo questa esperienza – prosegue – : mio fratello è morto qualche anno fa e da allora avevo perso la fiducia nel sistema. Oggi invece ho un’ottima opinione delle strutture sanitarie». Tre giorni dopo il suo compleanno, Alessandro è tornato a casa: «Ho trovato uno striscione enorme con la scritta “Bentornato” e la casa piena di palloncini. A prendermi ad Arco è venuto uno dei miei più cari amici che mi è stato sempre vicino». Cosa è il futuro per te, adesso? «Cerco di trascorrere i miei giorni nel migliore dei modi possibile, abbandonando il diffuso hobby alla rinuncia e al risparmio che vedo in molti. La vita è unica».

Che effetto fa ripensare a quei momenti e raccontare tutta questa storia? «Chi l’avrebbe mai detto che poteva capitare proprio a me?» 

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FEDERICO FRAPPORTI, Rovereto

Un post su un gruppo Facebook di una coppia di camperisti in Africa: ha preso il via così l’ultima avventura di Federico Frapporti, ormai Free Fede, che da quasi due mesi è in Senegal dopo più di 90 giorni di viaggio a bordo del suo camper: «Quando ho visto il post di questa coppia – racconta – ho pensato: allora si può fare, si può arrivare in camper fino a lì!». È quasi una strana affermazione da ascoltare sapendo che arriva da una persona che nel 2019 ha mollato tutto e comprato un camper che ha scelto come casa e che da allora ha visitato 24 Paesi diversi: «Sono partito il 2 aprile del 2019 da Rovereto: ho venduto casa, lasciato il lavoro, salutato parenti e amici», racconta Federico. «Mio padre 15 anni fa aveva acquistato un camper che prendevo in prestito per fare piccoli giri. Quando la vacanza finiva io non avrei mai voluto tornare a casa. Mi ritrovavo a dire “voglio fermarmi qui”. E “qui” era ovunque». 

Ascoltandolo parlare, Federico fa pensare che la sua sia l’unica scelta sensata: «il mio tempo – spiega – vale molto di più di quanto venga pagato in un qualsiasi lavoro. Voglio essere padrone del mio tempo e voglio essere io a decidere cosa farne. Non è stata una decisione veloce, ci ho messo qualche anno a realizzare la partenza». Qualche mese in Italia per iniziare, poi una lunga traiettoria verso nord fino in Norvegia, quando la stagione lo ha permesso: «La mia prima meta era Capo Nord e nell’estate del 2019 ci sono arrivato. Ho viaggiato molto in Europa. In questi anni ho anche lasciato il camper fermo per viaggiare in bicicletta e non mi sono fermato nemmeno nel 2020: nel periodo del lockdown ero in Portogallo in un posto isolato e bellissimo dove potevo stare in mezzo alla natura». 

Viaggiare mette di fronte a situazioni sempre inedite, casualità, sorprese: «Quando lasci la vita a briglia sciolta le cose accadono – afferma: quando viaggi non sai mai cosa può succedere. Per esempio: ho vissuto in un ecovillaggio, sono diventato istruttore di meditazione, ho fatto 15 mila chilometri in bicicletta in un anno. Niente di tutto questo era nei piani». Allo stesso tempo però ci sono scelte che determinano tutto. Quella di partire e farlo da solo, per esempio: «Viaggio solo – prosegue – e sono responsabile di ogni cosa e questa è una grande forma di libertà. Allo stesso tempo ci sono giornate in cui sono stanco. Avere un compagno o una compagna di viaggio in quei momenti permetterebbe di delegare per poi sostenere il giorno dopo. Essere soli significa rilassarsi meno». Avventura dopo avventura, tra qualche giorno di solitudine soprattutto nelle grandi città – «se sono in mezzo ai Pirenei e mi nutro grazie al contatto con la natura non mi sento solo; se sono in metropoli all’ora del tramonto vedo tutti dirigersi verso i loro affetti e accuso un po’ di più» – Federico è arrivato in Senegal dove sta facendo volontariato per “La Maison de les Enfants”, una ong fondata da una coppia di genovesi che si occupa di dare un’infanzia ai bambini Talibé, bambini che vengono inviati dalle famiglie a studiare nelle scuole coraniche ma che finiscono spesso per strada a mendicare in condizioni di sfruttamento: «Qui c’è molto da fare – continua a raccontare – la mia esperienza qui si concluderà tra qualche settimana, ma vorrei lasciare qualcosa. Sto cercando di facilitare una rete di supporto tra alcune realtà che sono qui e ho avviato una raccolta fondi per sostenere il progetto “Io Talibé” de La Maison con il quale la struttura cerca di garantire ai piccoli cibo, cure mediche, istruzione e gioco». Federico tiene un diario pubblico sulla pagina Facebook FreeFede della sua vita in viaggio, nel quale si trovano i racconti delle sue avventure, le emozioni che attraversano quasi 1500 giorni in camper e anche tutte le informazioni necessarie a fare una donazione per la sua raccolta fondi: «Ho iniziato a scriverlo per evitare di sentire mia madre al telefono ogni giorno – ride – poi la cosa è sfuggita di mano, i contatti ora sono molti». E chissà che adesso non diventi utile a sostenere la sua causa.

Inutile chiedergli se è felice della scelta che ha fatto: «Il mio non è mai stato un viaggio geografico. Mi muovo su una mappa, è vero, ma il mio è da sempre un viaggio di esplorazione di me stesso e delle situazioni in cui mi butto. Mi sorprendo continuamente e  la mia domanda è: perché non l’ho fatto prima?».

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Pubblicato da Susanna Caldonazzi

Laureata in comunicazione e iscritta all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige dal 2008, inizia la sua esperienza professionale nella redazione di Radio Dolomiti. Collabora con quotidiani, agenzie di stampa, giornali on line, scrive per la televisione e si dedica all'attività di ufficio stampa e comunicazione in ambito culturale. Attualmente è responsabile comunicazione e ufficio stampa di Oriente Occidente, collabora come ufficio stampa con alcune compagnie, oltre a continuare l'attività di giornalista free lance scrivendo per lo più di di cultura e spettacolo. Di cultura si mangia, ma il vero amore è la pasticceria.