Lo sguardo del minatore della Northumbria…

Lo so quanto è difficile affrontare questi temi. Ci sono giornate che non dovrebbero esistere e cose che neanche il diavolo sarebbe capace di inventare. Sarebbe facile, da un posto lontano e relativamente al sicuro, fare finta di ricordare che, solo per esempio perché non è affatto l’unica realtà, almeno alcune decine di migliaia di bambini, o comunque ragazzini, maschi e femmine, vengono utilizzati nelle miniere di cobalto della Repubblica democratica del Congo. Ogni maledetto giorno. Lo abbiamo già sentito dire tutti che questo “prezioso” minerale, ma non è l’unico delle “terre rare”, è utilizzato per la produzione di batterie ricaricabili per i nostri cellulari e altro. Non occorre neanche dire le condizioni in cui questi innocenti sono costretti a lavorare e a soffrire e ad ammalarsi e a morire. E come continueranno a farlo se non potranno andare a scuola a imparare che può esistere un’altra vita. Ma è quasi inutile raccontarlo ancora. Piuttosto voglio mostrare una fotografia del 1937: “minatore della Northumbria si concede il suo pasto serale”. Essa rappresenta un mondo che esiste ancora e anzi è peggiorato o forse si è solo spostato un po’ più a sud. E quello che ci viene da dire è: “Dio, che volti, che vite…!” Applaudire il fotografo mi sembra ipocrita, anche se lo merita. Applaudire loro mi sembra perdente, anche se lo meritano. Applaudo l’espressione di comprensione di lei e quella di sofferente orgoglio di lui, che sembrano dire: “ce lo siamo meritato, almeno questo”: sì, cento volte di più avreste meritato. Ma di chi è la colpa? I colpevoli, oltre a essere tutti noi, compresi i due poveri ragazzi ripresi nella foto, e la nostra smania di possedere cose e persone, sono quelli che ce lo hanno insegnato e quelli che hanno studiato come farcelo imparare. Occorre tornare indietro. Ora, non tra un po’. Qualche segnale c’è. Decathlon, per dire, narrano le cronache, ha cambiato il nome e ora si chiama Nolhtaced (che è lo stesso nome all’incontrario). Perché? Perché, sembra, dicono, che forse c’è un’inversione di tendenza: Decathlon non vende solo cose nuove, non si limita più a immettere nel circolo solo prodotti nuovi, ma accetta anche in restituzione cose usate senza buttarle ma concorrendo a rimetterle in circolo, perché sono utili ancora. Ecco il paradigma: “utilità marginale” (e non profitto marginale!) e attenzione ai segnali di “troppo pieno”: occorre svuotare un po’,  o almeno non caricare ancora di più, altrimenti crolla tutto.

I bambini non vanno più mandati in miniera a estrarre il cobalto o qualsiasi altra cosa. E le armi non devono più essere costruite così da non doverle più vendere né consumare. Perché comunque siamo diretti verso la fine del mondo come lo conosciamo, ma possiamo ancora evitare che finisca tutto. Occorre capire la tendenza. Chiediamoci pure “dove stiamo andando”? Ma chiediamoci soprattutto, ecco il senso vero, dove non possiamo più andare. Non possiamo più andare là dove stanno spinti a commentare: “Che volti, che vite!” e premiare in denaro il fotografo che ce lo fa vedere.

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Pubblicato da Stefano Pantezzi

È nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (2018) e alcuni racconti in antologie locali. “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro) è il suo primo romanzo.