Luca Pancalli: “Lo sport come motore di cambiamento”

Foto di Giuseppe Facchini

Luca Pancalli è Presidente dal 2005 del Comitato Italiano Paralimpico ed è componente del Comitato esecutivo Internazionale Paralimpico. Grazie al suo impegno e al suo lavoro ha contribuito alla massima diffusione del movimento paralimpico in Italia. Nel 2015 è stato inserito dal CONI tra le 100 leggende ello sport. Come atleta ha vinto tre campionati italiani giovanili di pentathlon moderno. A causa di un incidente durante una gara di equitazione, si è trovato costretto su una sedia a rotelle ma ha proseguito nello sport come atleta paralimpico partecipando a quattro edizioni dei Giochi paralimpici vincendo complessivamente otto medaglie d’oro, sei di argento e una di bronzo, nel nuoto. Nel 1993 ha iniziato l’avventura di dirigente sportivo. Alle Paralimpiadi di Parigi l’Italia ha conquistato un risultato straordinario con 24 medaglie d’oro, 15 d’argento e 32 di bronzo. Pancalli è stato ospite al Festival dello Sport di Trento.

Presidente, può diventare realtà unire le Olimpiadi alle Paralimpiadi?

La fusione dei due eventi è qualcosa che può rappresentare un obiettivo ma che va costruito  con intelligenza, necessita contaminare da un punto di vista culturale il terreno e poi lavorare perché dal punto di vista logistico organizzativo non è una assolutamente semplice. Parigi ha dato un grande segnale, lo stesso Macron ha sempre sottolineato che i francesi hanno vissuto l’Olimpiade e la paralimpiade come un unico grande evento fatto in due tempi e non come due eventi distinti, questo è il segnale per cui si sta lavorando. E prima o poi ci si dovrà arrivare. Non so invece quanto sia corretto nel senso che la Paralimpiade è anche il palcoscenico per tanti disabili gravi e gravissimi che sono atleti nelle loro discipline e per questo serve maturazione culturale. Occorre che il riflettore che si accende su di loro sia sempre il più lucente e mischiare i due eventi potrebbe distrarre l’attenzione da atleti con maggiore disabilità magari rispetto ai loro colleghi olimpiaci più noti e più famosi.

A Parigi tutti gli stadi e i palazzetti pieni di pubblico per le Paralimpiadi. In Italia?

C’è ancora da lavorare e consolidare tutto questo, lo sport è molto più avanti della società civile, l’immagine dello sport che noi presentiamo è quella di un grande sport italiano. A Parigi sono un po’ più avanti, hanno fatto un grande lavoro ma noi abbiamo un’altra occasione a breve, le Paralimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, che naturalmente per noi rappresentano l’occasione non solo di organizzare un grande evento sportivo ma anche di mettere in campo meccanismi in grado di avvicinare sempre di più le persone al movimento.

Come valuta il grande risultato sportivo di Parigi?

Se qualcuno aveva dei dubbi sulla grandezza della Paralimpiadi credo che non ora non li ha più. Tutti atleti straordinari che hanno lavorato con abnegazione e con le federazioni che lavorano alle loro spalle e il Comitato che in qualche modo in questi anni un pochino credo lo abbia fatto. Siamo davvero riusciti a fare una grande squadra. Anche la RAI ha fatto un ottimo lavoro costruito negli anni con noi e ha proposto le gare in diretta, uno spazio consapevole e non una concessione, che ha permesso di penetrare nelle case degli italiani e di far conoscere gli atleti e le loro storie. Abbia gareggiato con  le piscine e tutti gli spazi di gara pieni zeppi di spettatori paganti e non con persone portate lì in maniera coatta. Questo è il risultato di chi negli anni ci ha creduto, portando le persone dalla compassione alla comprensione. Sono stati 2.500.00 i biglietti venduti dell’evento che è stato uno straordinario spettacolo sportivo.

Un percorso difficile quello affrontato in questi anni.

C’era questa confusione tra la considerazione sportiva e quella umana, non ho mai preteso che si comprendesse, siamo noi che dobbiamo aiutare gli altri a comprendere. Pensi che nel 1988 eravamo un gruppo di atleti paralimpici all’aeroporto di Fiumicino in partenza per le Paralimpiadi di Seul. La gente ci vedeva tutti in carrozzella e con delle protesi e si avvicinava e diceva “bravi, ma dove andate?”, a Seul rispondevo. E loro “ ma perché c’è un santuario?”. Era l’Italia di allora fino agli anni 80/90, non c’è da sorprendersi. Come all’epoca era impensabile che un atleta disabile entrasse in un corpo sortivo dello Stato. Grazie a quello che abbiamo fatto, abbiamo aiutato il Paese a cambiare, dal punto di vista culturale. L’importante è capire che attraverso lo sport, tutti devono essere messi nelle condizioni di provarci.

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Pubblicato da Giuseppe Facchini

Giornalista, fotografo dello spettacolo, della cultura e dello sport, conduttore radiofonico. Esperto musicale, ha ideato e condotto programmi radiofonici specialistici e di approfondimento sulla storia della canzone italiana e delle manifestazioni musicali grazie anche a una profonda conoscenza del settore che ha sempre seguito con passione. Ha realizzato biografie radiofoniche sui grandi cantautori italiani e sulle maggiori interpreti femminili. Collezionista di vinili e di tutto quanto è musica. Inviato al Festival di Sanremo dal 1998 e in competizioni musicali e in eventi del mondo dello spettacolo.