Luigi Fantoma: l’uomo che volle farsi re

Luigi Fantoma (1819-2019): il “Re” di Genova

Tanto per farci subito un’idea del personaggio: se potessimo raccontare a Luigi Fantoma la storia del ripopolamento degli orsi nei boschi trentini, lui si farebbe una delle sue grasse risate e, naturalmente, non ci crederebbe. Lui, il più grande cacciatore d’orsi che la storia del Trentino ricordi, trasalirebbe a sentir parlare di “protezione animali” e di comitati anti-caccia. Non solo perché della caccia all’orso egli aveva fatto una ragione di vita, ma probabilmente perché nelle vene anziché sangue gli scorreva un fiume di polvere da sparo.
Ha un che di leggendario questo personaggio nato il 19 aprile 1819, a Strembo, Valli Giudicarie.
Ancora oggi, da quelle parti Fantoma è ricordato con l’altisonante quanto enigmatico appellativo di “Re di Genova”. Pare che fosse nientemeno che la Casa Reale ad autorizzarlo a firmarsi con quel titolo. Una scritta incisa nel granito ricorda che nel corso della sua esistenza uccise ben 22 orsi e 454 camosci. Da qualche parte, però, si vocifera addirittura di cinquanta plantigradi. Ma anche questo numero, come ogni cosa nella vita di quest’uomo, rimane avvolto in un alone di leggenda.
Ma per cominciare, do a Cesare quel che è suo, chiarendo che la maggior parte di queste notizie sono tratte dall’interessante saggio di Anna Finocchi e Danilo Mussi intitolato “Sulla pelle dell’orso. La caccia nei documenti del passato e nelle memoria ottocentesche di Luigi Fantoma” (Il Sommolago, 2002). Detto ciò, prendiamo un bel respiro e tuffiamoci in questa incredibile storia.

Particolare del fucile a retrocarica di Luigi Fantoma

Luigi Fantoma è l’unico maschio vicino a cinque sorelle. Sin dalla più tenera età dimostra di avere grande dimistichezza con carabine e polvere, tanto che il padre – Martino Fantoma detto “Martinet” – è costretto a nasconderle per bene. Delle volte, di notte, prendeva di nascosto il fucile del padre e andava a cacciare tassi, lepri e volatili notturni.
Non per dire, ma a quattordici anni, Luigi si presenta al Consigliere Distrettuale per riscuotere la taglia sugli orsi, e ha un bel da fare a trascinare nel piccolo ufficio i corpi di tre plantigradi, un’intera famiglia impellicciata. Niente male per un ragazzino. Il Consigliere rimane talmente impressionato che decide di regalargli la sua baionetta.

Nel 1841, come altri centoenove coetanei, Luigi viene chiamato ad assolvere la leva militare. O meglio, a recarsi a Tione perché tra centoenove idonei bisogna estrarre i nomi dei sette sfigatissimi che indosseranno la divisa, e quindi andranno in guerra assieme al Feldmaresciallo Radetzky. Luigi estrae proprio il numero uno: quando si dice che uno è destinato a tenere un fucile in mano…
Così, in attesa di poter cacciare gli orsi, il Re di Genova deve accontentarsi di cacciare i piemontesi. Al Castello Sforzesco di Milano, è proprio davanti a lui – impegnato momentaneamente a lavare pignatte – che Radetsky dà ai suoi l’ordine di abbandonare la città.
Come Kaiserjäger tirolese, Fantoma prende parte ad una serie di battaglie, tra cui quelle arcinote di Magenta e di Novara. Ciononostante, il Nostro detesta la guerra, al punto che i suoi commilitoni lo prendono in giro e una volta arrivano persino a picchiarlo per la sua ritrosia al combattimento. La butto lì: amava le armi, certo, ma ai giorni nostri, probabilmente Luigi sarebbe un obiettore di coscienza.
Contrario alla violenza, sì, ma proprio fesso no, se la notte del 21 dicembre 1846, assalito da uno sconosciuto mentre riposa in tenda, scansa miracolosamente due colpi di pistola e pianta la baionetta in petto all’aggressore, uccidendolo sul colpo. L’episodio, pur trattandosi di chiara legittima difesa, turberà Fantoma per il resto dei suoi giorni; non si darà più pace per essere “venuto in chogizione del male che io aveva chomeso”, come scriverà nel suoi diario.

Luigi Fantoma (primo a destra) davanti alla sua casa in località Ragada, Valle di Genova (da V. Martinelli, Adamello, il tempo dei pionieri, ed. Povinelli, Pinzolo 1999)

Senonché, dopo otto anni otto mesi e otto giorni da militare, Fantoma torna a Strembo e si rende conto di essere rimasto solo, senza casa, senza lavoro e senza amici. È in quel momento di scoramento ch’egli prende l’importante decisione: andare a vivere in Val di Genova, tra le località chiamate “Ragada” e “Todesca”. Dopo una controversia con il Capitanato di Tione che lo accuserà di abuso edilizio, costringendolo ad abbattere il suo primo rifugio, si costruisce la casa da solo, alzando due pareti di tronchi affiancate e riempendo l’intercapedine con segatura. Con lui, la compaesana Giovanna Broli, detta “la bionda Giovanna”, che diventerà sua compagna di vita e di lavoro, lassù, sugli sperduti pendii della Val di Genova. Come unici vicini di casa, i due hanno il Sarca che ruggisce nel burrone, le cime del Brenta e della Tosa e centinaia di orsi affamati.
Il paese è piccolo, la gente mormora… Ma quello che scandalizza i paesani della Giovanna Broli, non è tanto la pratica di finire a pugnalate gli animali soltanto feriti dal marito, quanto il fatto che porta i pantaloni ed è arrivata ad avere un vero e proprio culto per questo “Re di Genova”, suo consorte. Come se un Re sposasse un’umile serva, anziché una regina.

Luigi Fantoma e la moglie, Giovanna Broli, fotografati da Enrico Unterveger sulla porta di casa alla Ragada, Val di Genova (Foto: Museo degli Usi e Costumi di S. Michele)

La Valle, in inverno, è completamente isolata, ricoperta da molti metri di neve. D’estate è meta di nobili austriaci che lì organizzano escursioni e battute di caccia sull’Adamello. Inutile dire che una delle guide preferite è proprio il Fantoma che così ha modo di conoscere gente come l’alpinista bolzanino Albrecht Wachtler, la regina Vittoria di Germania, che lo vuole conoscere personalmente, e l’esploratore Julius Payer, navigatore delle regioni polari (1841-1915), che aiuta e assiste durante la prima esplorazione del massiccio Adamello-Presanella, come guida, sia durante la creazione della prima carta topografica della zona.
Nel 1881, Fantoma conosce Vespasiano Bignami, poeta, pittore, illustratore e caricaturista milanese in vacanza a Strembo. Tra i due nasce una forte amicizia, fatta di stima reciproca, che si protrarrà fino alla morte. Bignami lo invita anche a Milano, nel suo atelier. Gli dipinge un ritratto e ne scrive su un giornale meneghino. Fantoma, guardando il dipinto strabuzza gli occhi: “Io sono così? Perbacco! Pare un personaggio di grande aspettazione!” Anni dopo, tra le carte del Bignami, saranno rinvenuti i due manoscritti autobiografici di Fantoma che oggi ci permettono di ricostruirne l’esistenza.

La bionda Giovanna è una moglie perfetta per Luigi. (Come si dice: Dio li fa e poi…) Perfetta in tutto tranne in una cosa. Non riesce a dargli dei figli. Narra la leggenda che un giorno, catturati due orsetti, Fantoma se li porta a casa e ordina alla moglie di accudirli come si trattasse di due bambini. Ma un dì nefasto, i due cuccioli muoiono per una disgrazia. Luigi non ci vede più dalla rabbia e inizia a pestare la Giovanna, le cui urla si odono a centinaia di metri di distanza. Qualcuno, infatti, allarmato da tanto strepito bussa alla porta della Ragada. Pare che la Giovanna si affacci e, col volto tumefatto, rimproveri gli importuni visitatori: “Di che vi impicciate? Se mio marito mi picchia è segno che ha una buona ragione per farlo”. Nessun antesignano movimento femminista #MeToo provvede a salvarla del suo vittimistico destino. E – ad essere onesti – nemmeno il suo cervello si dà troppo da fare…
La memoria di questo episodio, assieme a tutto il resto, brucia nella notte tra il 21 e il 22 novembre 1889. Un incendio devastante e pirotecnico, considerato il fragore che possono provocare cinque barili di polvere da sparo e cento proiettili per fucile. Così, mentre la Giovanna si dispera, il barbuto marito esulta, perché considera quei botti “onori che fanno al Re”.

Pochi mesi prima di morire, nel 1896, Fantoma viene ritratto sulla porta di casa assieme alla moglie, dal famoso fotografo Enrico Unterveger, figlio. Il Re di Genova vi è ritratto con l’inseparabile fucile e con il cannocchiale da lui stesso costruito. Durante il tempo di posa pare che continui a dare di gomito alla Giovanna, tentando di spingerla quanto più possibile in secondo piano rispetto all’inquadratura.
È quello l’anno in cui Luigi Fantoma lascia la vita terrena, il giorno 30 settembre, a settantotto anni, ancora – si badi – nel pieno delle forze. Basti dire soltanto che due anni prima (a 76 anni!) è salito nientemeno che in cima all’Adamello.
E poi c’è un fatto. È stato un sogno ad annunciargli la morte. Un sogno in cui si vede in una cassa da morto, circondato da tutte le prede che ha cacciato in vita sua, mentre, in corteo, cantano inni a Nostro Signore per ringraziarlo di averli liberati da quel grande terribile cacciatore. Lo stranissimo corteo si snoda attraverso l’Italia, verso Roma, dove in Campidoglio è prevista la sepoltura.
La bionda Giovanna, invece, verrà sepolta a Strembo, alla vigilia di Natale del 1903, sotto ad una lapide che così recita: “Fantoma Giovanna di Strembo, vedova del fu Re di Genova”.

L’elenco delle prede

Ma quanti animali cacciò esattamente Luigi Fantoma nel corso della sua lunga vita. Le poche fonti a disposizioni sono anche abbastanza discordanti tra loro. Si parla di 400 camosci in un articolo del 1883. Augusto Danta, nel suo “Il Re di Genova” parla di 700 camosci e più di 50 orsi, molti dei quali presi con trabocchetti e lacci. Di 22 orsi parlano Silvestro Valenti sulla rivista “La Paganella” e Gualtiero Laeng sulal Rivista del CAI.
Basiamoci allora su una testimonianza di suo pugno, del 22 luglio 1885, in cui Luigi Fantoma scrive di aver ucciso il suo quattrocentesimo camoscio. Egli aveva l’abitudine di tenere un puntiglioso registro delle uccisioni e delle catture. Grazie a quanto ci ha lasciato scritto, apprendiamo di un incontro con un signore tedesco che gli domandò se avesse ucciso altri animali e quanti. Ebbene Fantoma pare declinasse a memoria il seguente elenco: circa 380 camosci, circa 150 lepri, più di 60 martore, circa 200 scoitattoli, più di 400 francolibi, 17 orsi, 30 volpi, più di 80 tassi, 18 marmotte, 180 galli cedroni, 6 anatre, circa 40 piccioni selvatici, 9 falchetti, 2 aquile, 30 “begalli”, 50 faine, 20 cortunici, 5 poiane, un gufo imperiale e 9 gallinelle.
Si tenga conto che Fantoma dettò questi numeri agli inizi degli anni Ottanta e che visse e cacciò la bellezza di altri sedici anni…

Questa è più o meno la scena che Fantoma ha sognato qualche tempo prima della morte. Il suo funerale officiato questa volta dalle sue stesse vittime. (Lith v. Dietrich. Druck u Verlag di A. Felgner Berlin. La scritta portata dai volatili dice: “Bien pour lui, mieux pour nous”, “Sta bene, stiamo meglio”).
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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.