Maura Pettorruso: “Il teatro è un’urgenza”

Incontro Maura Pettorruso in un bar del centro città. Fuori pioviggina e noi accogliamo la pioggia come un buon auspicio, prima di ordinare due calici e iniziare la nostra chiacchierata.

Maura, cosa ti attira del fare teatro?

La creazione. Prendere un’idea che ho nella testa e darle un corpo. Mi interessa poter sviluppare un tema, capire come la pagina scritta si possa trasformare in un’azione teatrale.

Meno attrice e più regia, quindi? 

Sì, indagando i nuovi linguaggi, dando valore all’aspetto creativo. È diventato preponderante toccare e approfondire tematiche che mi riguardano da vicino e mi attraversano. Per capire sempre meglio quale sia la mia cifra artistica. In una parola, non mi interessa più fare cose che non mi coinvolgono veramente.

Qual è il senso del fare teatro oggi, per te?

Credo non sia banale distinguere tra un preCovid e postCovid, passare attraverso quel periodo ha portato a galla la consapevolezza che ci sia poco tempo da perdere. Non solo rispetto alla vita di ognuno, ma anche e soprattutto verso quello che il mondo ci sta comunicando, l’urgenza di un coinvolgimento diretto. Anche il teatro deve interrogarsi su questo e l’artista, ora più che mai, deve prendersi la responsabilità del tempo che chiede allo spettatore.

Cosa chiede il pubblico, quali sono le richieste circa i tipi di spettacoli più fruibili?

Dopo il Covid ci si è un po’ disabituati a frequentare i teatri e questo ha causato una naturale diminuzione della presenza in sala. C’è una grande ricerca di leggerezza, decisamente comprensibile, ma il mio tentativo è quello di affrontare anche temi importanti senza per forza dover affondare nella drammaticità. Rifletto molto su come introdurre una rivoluzione interiore che sappia dare valore all’incontro con il pubblico. Mi chiedo quali siano i linguaggi da mettere in scena e quale sia il punto di incontro con la mia poetica attuale.

E quali sono le tematiche che interessano te?

Posso pensare di distinguere due filoni principali che si compenetrano indissolubilmente. Il primo riguarda l’essere umano, i suoi sentimenti, i tormenti, lo stare al mondo. Ultimamente trovo un interesse fervente nei confronti dell’umanità, come concetto più esteso. Mi sto occupando di futuro, di ambiente, di crisi climatica. Mi interrogo su quali siano le nostre responsabilità e sento, a partire dalla mia esperienza personale, una necessità di provare a lanciare uno sguardo più in là rispetto a dove siamo ora.

Mi interessa anche il senso di comunità, quel sentire di appartenere a qualcosa che ci unisce e che ci spinge in una direzione comune. Penso a come creare un dialogo a riguardo, per occuparci di questioni condivise come il consumo critico, ad esempio, per riuscire a portare in scena questi grandi temi, agganciati a una fragilità antieroica.

C’è qualcuno a cui ti ispiri e ha aiutato la tua ricerca artistica?

L’incontro con Punzo (Armando Punzo, regista fondatore della Compagnia della Fortezza, nata nel carcere di Volterra e vincitore de il Leone d’oro alla carriera per la Biennale Teatro 2023, ndr) prima del covid ha centrato la domanda su quale fosse il mio reale interesse riguardo a quello che voglio dire. La sua metodologia di lavoro con questo sguardo profondo e curioso, mai pago della superficie, mi ha aiutata ad indagare, attingendo a tutto quello che il variegato mondo teatrale, culturale e artistico mi può offrire. I segni, le tracce di tutto ci sono già, si tratta di riconoscerle e trasformarle, facendole passare attraverso la nostra esperienza. Dopo aver lasciato TrentoSpettacoli ho dovuto ricominciare un po’ da zero, riprendendo in mano le redini e tornando alle origini del mio percorso per capire come poter andare avanti al meglio.

Una sorta di nuovo inizio?

Ho riscoperto una grandissima passione, una voglia di tornare a studiare, di scoprire angoli ancora inesplorati del mio lavoro. Anche una necessità di incontrare, per mettere in condivisione esperienze, competenze e finalità. Ho ritrovato l’urgenza di dire e di fare, soprattutto di provare a costruire possibilità. Ma ci sono stati molti momenti di incertezza, di paura di non farcela. Ora prevale un inaspettato e più forte piacere di fare.

Recentemente hai avuto anche delle esperienze all’estero con un progetto particolare, ci racconti?

È stato un incontro assolutamente inaspettato, una porta che mi è stata aperta da Andrea Brunello, drammaturgo e attore, direttore artistico della compagnia  Arditodesìo che ha sede presso il Teatro Portland di Trento. Andrea è un professionista che si è sforzato moltissimo di trovare una sua precisa identità artistica e mi ha aiutata a chiarire quale sia la mia. È nato tutto in maniera molto umana: a una presentazione di un progetto con dei ricercatori, incontro il professore Gianluca Lattanzi che porta una cosa proprio dal titolo “What is life?”. Lui è un fisico che indaga la vita ovviamente dal punto di vista scientifico, parla di  temi come l’entropia, l’equilibrio, gli atomi… Ascoltandolo ho ripensato alla mia esperienza di vita all’interno degli ospedali con i quali ho avuto un confronto molto duro in passato. E’ qualcosa che ho sempre tenuto a distanza, ma che in questo caso è venuto a galla e mi ha fatto venire voglia di provare a raccontarlo con la formula delle Augmented Lecture. Sono uno strumento pedagogico, un racconto nel quale l’ausilio del teatro aggiunge una dimensione emozionale al contenuto scientifico, creando un’atmosfera unica che aiuta ad avvicinare il pubblico a temi anche complessi. Sono delle lezioni che mettono al centro la dimensione sociale della scienza, attraverso storie di scoperte, di conflitti, di dinamiche interpersonali e di percorsi individuali. La commistione dei due linguaggi, quello scientifico con quello artistico colpisce e sa commuovere.

Ma la sfida non è finita qui, vero?

Abbiamo iniziato a lavorare in italiano, dopodiché Andrea mi propone la possibilità di portare lo spettacolo anche all’estero, in inglese. Ho accettato la sfida e mi sono messa a studiare, per imparare in tre mesi un copione in lingua. Una vera e propria full immersion che ci ha poi visti debuttare a Sofia, Belgrado e Anversa in un’atmosfera di accoglienza splendida, piena di calore umano. È stato un lavoro arricchente fatto di incastri e supporto reciproco centrato molto su quello che si vuole dire, sul messaggio da far arrivare al pubblico. Spesso il teatro si arricchisce di scenografie, luci, costumi perdendo il focus o mettendolo in secondo piano. Con questo progetto il teatro sostiene una lezione scientifica facendola arrivare dritta al cuore del pubblico che è in ascolto (il 15 aprile al Portland in italiano)

Rispetto ai tuoi progetti di formazione, quali stai portando avanti attualmente?

Per me al momento è un aspetto marginale soprattutto a causa del poco tempo che ho a disposizione. Resistono ancora le lezioni di dizione e lettura interpretata che tengo al Portland. La parola, fin da piccolina, per me è una delle cose più affascinanti del mondo. Credo ci sia dentro una potenzialità meravigliosa per far visualizzare un’immagine, provare un sentimento particolare, trasmettere un’emozione di un certo tipo. La parola parlata per me ha l’enorme potere non solo di dire delle cose, ma soprattutto di evocare, visualizzare, rappresentare. Siamo abituati a pensare che le parole siano una serie di sillabe piatte distese su un foglio. Ma la parola contiene la memoria e per quanto mi riguarda è sicuramente legata ad una visione teatrale che cerco di trasmettere anche quando insegno, per mantenere una coerenza con la mia essenza.

Meno obiettivi, ma più concentrati?

Esatto, sento di volermi dedicare a quelli che sono più arricchenti per me, in primis. Ma in realtà ho un altro progetto in corso con l’attore Stefano Detassis e la psicoterapeuta Federica Mattarei, con i quali ho istituito un laboratorio al Villaggio del Fanciullo per provare a costruire una piccola comunità che abbia voglia di apprendere. In questo trovo un senso, interrogandomi  costantemente su come poter coinvolgere questi adolescenti, che cosa interessi alla loro vita. E alla mia.

Come vivi, invece, la tua formazione?

Dopo il Covid si è un po’ modificata la possibilità di partecipare in presenza a laboratori e corsi che frequentavo costantemente, per il momento rimane la mia partecipazione a “il Maggese”, un esperimento originale per arricchire lo scambio tra discipline e aprire nuovi terreni di sperimentazione umana e professionale, tenuto da Armando Punzo in primavera, in residenza a Terragnolo (Tn).

Inoltre mi stimola molto collaborare con persone che non appartengono strettamente al mio ambito.

Tra le tante cose di cui ti occupi ci sono anche progetti non professionali, ne hai mantenuto qualcuno?

Sempre a causa del poco tempo a disposizione sono portata a selezionare tantissimo, ma li mantengo con piacere perchè in queste realtà mi sento veramente libera di pensare e agire. Vorrei la stessa facoltà anche nei progetti professionali dove spesso invece sento il peso di dover fare le cose in un certo modo.

Sicuramente con il gruppo di Teatroovunque mi diverto tantissimo. L’intento è quello di portare il teatro all’interno dei luoghi di cura, case di riposo, ospedali, centri anziani e ovunque ci sia spazio e desiderio di condividere un’emozione. Loro si mettono tantissimo in gioco in maniera vibrante e vitale, così l’incontro con il pubblico è sempre molto intenso e coinvolgente. Le tematiche che affrontiamo sono varie, nell’ultimo progetto ho ideato uno spettacolo interattivo in modo che lo spettatore potesse esperire in maniera diretta qualcosa rispetto a una conoscenza stereotipata o a dei pregiudizi, per poi ascoltare dalla voce dei protagonisti le loro storie. Il tentativo è quello di sopperire a una visione buonista o pietista attraverso un’esperienza diretta con chi è in ascolto.

Conduci anche un altro gruppo di non professionisti, l’Umanofono, dove la parola prende letteralmente vita grazie ai reading diretti come un’orchestra

L’ultimo progetto ci ha visti coinvolti insieme all’editore Keller che ha proposto di selezionare dei libri scritti da autrici donne per indagare la scrittura al femminile. Un occasione per riflettere su come la letteratura continui a parlare di noi e ci mostri uno specchio della società in cui stiamo vivendo.

Progetti per il prossimo futuro?

Ammetto di averne una miriade: lo spettacolo “Like a rolling man” che ha debuttato a fine marzo e che ora spero di poter portare in giro. Poi mi occuperò di drammaturgia territoriale attingendo alla documentazione storica per raccontare la storia di alcuni palazzi insieme a EvoèTeatro. Ho in cantiere un lavoro con quattro attrici su quattro personaggi femminili. Uno spettacolo itinerante per la città di Trento che coinvolgerà attività commerciali gestite da donne attraverso un percorso audioguidato, una produzione di Rifiuti Speciali. Come mio progetto specifico sto lavorando a Fahrenheit 451 coinvolgendo lettrici e lettori di varie comunità. Vorrei lanciare una call dal titolo “Quali sono i libri imperdibili e perchè?”.

Proverò a costruire la drammaturgia partendo da qui, per capire come mantenere la memoria collettiva. Voglio immaginare che attori e pubblico si trovino in uno stesso spazio per costituire una comunità resistente.

L’incontro con Maura è stato denso e piacevole, pieno di spunti interessanti che ho cercato di restituire qui nella maniera più aderente possibile. Le parole sono importanti, raccontano le idee che ci sono dietro e contengono la passione e il fermento per quello che si fa. Il confronto arricchisce ed è così che mi sento mentre mi allontano dopo la nostra chiacchierata. Dopotutto, come diceva Eduardo De Filippo: “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”.

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Pubblicato da Mariavittoria Keller

Ha un’innata passione per la scrittura che cerca di declinare sia dal punto di vista professionale (ideazione di testi promozionali, contenuti web, corsi creativi) che artistico (performance mulltimediali, esposizioni, reading…) conciliandola con tutto ciò che è espressione dell’animo umano. Non ama parlare di sé se non attraverso quello che scrive: “Mi sono sempre descritta come una persona fragile. Timida, silenziosa, sognatrice. Un'osservatrice attenta della realtà e una appassionata visitatrice di sogni. Scrivo per provare a fermare in un attimo le emozioni, per riviverle, per regalarle a chi avrà la cura di dedicarci uno sguardo. Perchè credo fortemente che il valore delle cose sia svelato nei dettagli e nel tempo che sappiamo concedere. Così mi incaglio spesso nei giorni, troppo veloci e spesso disattenti verso chi preferisce stare in disparte. Amo la natura selvaggia, libera, perchè sento di esserlo anch'io. Gusto le cose semplici, che sorridono, che condivido con poche, pochissime preziose persone. Credo nell'Amore come sentimento Universale, anche se ho ancora qualche difficoltà con il sentimento, quando mi guarda. Amo il raccoglimento, la lettura e la musica, non ho paura della solitudine quando non è imposta, ma è una scelta. Vivo imparando, non dimenticando che la felicità è negli occhi di chi guarda”. Info: vikyx79@gmail.com