Miracoli di un’amicizia obliqua. E di un buon libro

Ilse Bing, Three Men on Steps at Seine, Paris 1931

Bolzano-Milano, metà anni Ottanta. I tre uomini del titolo sono due amici, Enzo e Andrea, e il padre di quest’ultimo, il carismatico Antonio, che accoglie Enzo nel suo mondo fatto di una curiosa saggezza e di una pericolosa disinvoltura, regalandogli tutte le pillole di paternità di cui il figlio biologico non sa che farsene. Un’amicizia sbilanciata, la loro, obliqua, che accompagna Enzo verso un’idea di futuro. Sono invece così diversi Antonio e Andrea, padre e figlio. Per dirne solo una, il primo – in conformità al credo buddista – mette in guardia rispetto al senso del possesso, il secondo incentra una prosperosa attività professionale sulla difesa del diritto di proprietà.

Ad Enzo invece piace molto il modo con cui Antonio affronta le proprie personali angosce, ama i suoi giudizi sull’arte (“Iliade? La peggiore opera letteraria di tutti i tempi”), rimane affascinato dalla sua filosofia di vita (“Non pensare mai di non meritarti abbastanza. Tu lo meriti”), toccato da un’originale visione della società (“È fin troppo facile confondere le proprie faccende private con i grandi sommovimenti collettivi”).

Per Andrea, invece, molto più cinicamente, suo padre non ha nulla di speciale e sta semplicemente impiegando troppo tempo a morire.

Sono gli anni in cui Enzo scopre i primi amori, l’amore che “ti rivela a te stesso, ti mette a nudo, ti toglie la pelle, ti scortica e ti appende per i piedi sulla cime di una collina”. Quindi, finiti gli studi, arriva per lui anche un lavoro di giornalista che lo porta a viaggiare tra Medio Oriente ed Africa, a fare i conti con un mestiere che lo soddisfa però solo in parte, accorgendosi ben presto di come cercare nei conflitti del mondo non aiuti certo a risolvere il primigenio conflitto interiore.

Un conflitto in cerca di una risoluzione, certo. Non si tratta solo di quel “senso di colpa che ci portiamo dentro tutti e che ci mangia l’apparato digerente, a poco a poco”. Ma anche della pretesa di spiegare sé o di voler sapere sempre tutto degli altri o delle situazioni in generale, perché “omettere nella vita è inevitabile, spesso lo si fa per delicatezza, un’attenzione che si riserva a qualcuno, ai tuoi sentimenti, ed è la stessa cosa che dovresti fare tu”, si ripete Enzo. È un concetto chiave, una regola che andrebbe anteposta a tutte le altre, specie pensando a cosa ne è stato oggi della riservatezza o del pudore. Tanto più se abbiamo consapevolezza di quel che Luigi Pirandello fa dire ad uno dei “sei personaggi”: “ciascuno di noi si crede «uno» ma non è vero: è «tanti», secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi”.

Come una fresca mano di colore, Marco Pontoni stende con maestria tra le pagine lo spleen che accompagna da sempre la sua scrittura (chi ha letto altri suoi romanzi, ad esempio il loureediano “Music Box”, lo sa). Per questo le vicende qui si dipanano malinconiche, come in un brano di Nick Cave (tanto più che i versi di “Stranger than kindness” sono riportati in esergo). “Tra noi uomini” (Nutrimenti, pag. 274, € 18) è dunque il titolo del romanzo con cui l’autore bolzanino, che vive tra il Trentino e l’Umbria, si presenta coraggiosamente su un proscenio letterario nazionale, monopolizzato da alcuni anni a questa parte da stucchevoli storie di donne, donne, esclusivamente donne che fanno l’architetto, il portalettere, il fotografo, l’ingegnere e chi più ne ha più ne metta.

Di certo non le donne che incontriamo in questa storia, che hanno una loro dignità pur senza dover ostentare cervellotiche pretese paritarie. Ci sono Silvia, la collega giornalista, Olga la dark, passione giovanile, e infine Carola, la provocante compagna di Andrea. “Le donne erano ovunque, – riflette Enzo, ragionando come uno dei personaggi di Philip Roth – ma questo non significava che fossero interscambiabili. Ognuna sembrava più interessante della maggior parte degli uomini che conoscevo”.

Ma c’è dell’altro. È un libro questo che una volta chiuso fa riscoprire al lettore il dolce fastidio della nostalgia, quel sentirsi terribilmente soli nel momento in cui tutti i personaggi della storia se ne vanno, trasferiti con i loro bicchieri di vino, i divani letto, i baci, i libri, le musicassette, l’illusione di una sicurezza, gioie e rancori, fuggiti, tutti, nel Paese dei libri già letti. E a ben guardare, oltre alla nostalgia, quel che rimane in dote è la benevola sensazione di cui una sera Enzo – incallito bibliomane – parla ad Antonio,: “Quando leggo una cosa che mi piace, sento che la mia vita cresce, non rattrappisce. Ho voglia di uscire, di vedere gli amici, di fare un viaggio e…”.

“…e di fare l’amore”, aggiunge un istrionico Antonio.

Ebbene sì, sappiatelo, può accadere anche dopo aver letto un romanzo come questo; che – prodigio della lettura – riposto il volume sullo scaffale, si avverta un’irrefrenabile voglia di stare in compagnia, di bere un vino buono, di raccontarsi passioni fino a notte fonda.

E, sì, di fare l’amore.

Marco Pontoni
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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.