“Narcisissimo me”: cercare negli altri il narciso che (forse) è in noi

Mai come oggi si parla degli altri definendoli “narcisisti”. Il narcisista è uno dei grandi pericoli contemporanei. A quanto pare, questa insidiosa tipologia umana si annida in famiglia, a scuola, nelle relazioni sentimentali, sul lavoro, in palestra, in pizzeria. Potrebbe persino essere il tuo migliore amico.

Ce lo dicono Tik Tok, Facebook e Instagram, che straripano di video in cui psicologi, life coach, intelligenze artificiali, guru, Clint Eastwood, uomini di successo, donne in carriera, vecchi e bambini, ti spiegano come difendersi, come non farsi manipolare, come evitare, come lasciare, come dimenticare, come non crescere, un narcisista. 

E così, mentre scrolli felice il tuo smartphone trovi: “Tre risposte assertive da dare a un narcisista”; “Quattro strategie per non farsi manipolare da un narcisista”, “Otto metodi infallibili per chiudere con un narcisista”. Ma come faccio a sapere che i narcisisti sono gli altri, e non io? C’è un vademecum per quello? In fondo, il mito di Narciso è antico come le nostre civiltà.  Ce lo ha raccontato Ovidio nelle sue Metamorfosi, spiegandoci che quel bel figliolo fosse per lo più insensibile all’amore. Non era per nulla empatico e non ricambiava l’amore di nessuno. Per punirlo, da Dea Nemesi lo fece innamorare della propria immagine riflessa nell’acqua. Amò egli a tal punto quel suo debole riflesso, che morì consumato da questa vana passione.

Questo Mito, come tutti i miti, ha il compito, da un lato, di illustrare una delle tante realtà possibili degli esseri umani. È come se ti dicesse: per noi a volte le cose possono andare così, possiamo cadere nella stessa trappola di Narciso. Dall’altra parte, il mito ti mette in guardia, non tanto dagli altri, ma da te stesso. Ti dice, occhio che Narciso è morto di dolore! Quale destino più infelice di quello riservato ai narcisi di tutto il mondo?

L’avevano capito gli antichi, lo hanno capito anche i social. Ma c’è una differenza di fondo. Mentre il mito mette in guardia dal rischio di diventare come Narciso, i social mettono in guardia dai narcisi altri. I narcisi stanno tutti lì fuori. Non sei tu, ma “loro”. Lo trovo veramente superficiale.

È come il pesce nel mare, che viene messo in guardia dal sale. Il sale è un tutt’uno con l’acqua. 

Il pesce ci sta nuotando, nell’acqua salata. È il suo habitat.

 Così per noi: i nostri dispositivi che ci mostrano come “gestire un narcisista” sembrano essi stessi tante fonti in cui “specchiarsi”, guardare il proprio riflesso e diventare come Narciso a nostra volta, condannati ad anelare a un simulacro, innamorati non tanto di noi stessi, quanto dell’immagine che gli schermi ci restituiscono di noi

I nostri dispositivi sono come mille fonti d’acqua, moltiplicate all’infinito, in cui possiamo ammirare la nostra immagine, senza mai riuscire a conciliare ciò che siamo, ciò che vorremmo essere e come appariamo. Se fossero sinceri, i vademecum dei nostri social dovrebbero metterci in guardia dal narciso che si annida in ciascuno di noi. Ma non sono sinceri, e noi siamo abituati a farci illudere dai nostri dispositivi con mille vane lusinghe, esattamente come è successo al povero Narciso.

Quando è una patologia

Il narcisismo patologico è un disturbo della personalità caratterizzato da un senso esagerato di importanza personale, necessità di ammirazione e mancanza di empatia per gli altri. Gli individui affetti mostrano arroganza, fantasie di successo illimitato e bellezza, e credono di essere unici e speciali. Sono ipersensibili alle critiche e possono sfruttare o manipolare gli altri per raggiungere i propri scopi. Le relazioni interpersonali sono spesso compromesse. La tecnologia e l’uso dei social media hanno amplificato questo disturbo, permettendo a tali individui di cercare costante approvazione e attenzione online, dilagando sempre più.

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Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).