Il 9 novembre 1905 “La Voce Cattolica” informava i propri lettori che lo stabilimento fotografico di Giuseppe Brunner, con sede a Trento in via Grazioli, si era aggiudicato la medaglia d’oro all’Esposizione internazionale della Società fotografica italiana, tenutasi quell’anno a Firenze. Il premio – precisava il giornale – era accompagnato da una somma di duecento lire. All’importante appuntamento Brunner si era presentato con “quadretti di genere e ritratti in grande formato”. Seguirono presto altri riconoscimenti, tra cui il titolo di fotografo pontificio concessogli da papa Pio X nel 1912, a seguito dell’esecuzione di un suo ritratto in Vaticano: lo si apprende da un articolo apparso nell’agosto dello stesso anno sul settimanale milanese “Pro Familia”.
Nato a Trento nel 1871, Brunner vi morirà ottantenne nel 1951 dopo una lunga e onorata carriera. Tra i fotografi della sua generazione fu quello più vicino agli ambienti ecclesiastici, tanto che la sua opera più nota rimane una rielaborazione fotomeccanica del volto della Sindone. In collezione privata abbiamo rintracciato un esemplare di una delle opere premiate a Firenze: a tergo del cartoncino su cui è incollata la fotografia è indicato il titolo “Raggio di Sole!”, mentre una scritta autografa la qualifica come “Copia di uno dei quadri prem. all’Espos. di Firenze 1905. Omaggio dell’autore G. Brunner”.
L’immagine mostra una donna raccolta in preghiera nel transetto sinistro del duomo di Trento. Nella penombra del tempio romanico un fascio di luce colpisce
il pavimento e le antiche tombe che si ergono alle spalle della devota, creando un effetto luminoso di grande suggestione. La stampa rivela l’adesione del suo autore al pittorialismo, movimento assai diffuso tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, che intendeva riscattare la fotografia dalla sua funzione di mera riproduzione meccanica del reale per conferirle dignità artistica, anche attraverso l’uso di tecniche e processi atti a imitare la pittura. In questo caso l’effetto pittorico e la sgranatura dell’immagine sono stati ottenuti, con ogni probabilità, utilizzando la gomma bicromata. A qualificare lo scatto in senso artistico, peraltro, è il soggetto stesso, unito a ciò che Brunner chiamava “l’arte difficile di saper scegliere l’ora”.
Il risultato può ricordare i tanti interni di chiesa prodotti dalla pittura italiana di fine Ottocento, da Mosè Bianchi a Giovanni Segantini, da Ruben Santoro a Pio Joris.
L’interesse dell’immagine non si esaurisce nell’analisi del suo stile. Essa ci ha trasmesso un’atmosfera che è andata completamente perduta dopo le trasformazioni subite dall’assetto interno del duomo nel corso del XX secolo. Brunner ha documentato una situazione che sarebbe di lì a poco radicalmente mutata: alla parete settentrionale del transetto appaiono allineate cinque lastre tombali risalenti al tardo medioevo, ciascuna delle quali reca l’effigie a figura intera di un principe vescovo. Si tratta dei monumenti funerari di Giovanni Hinderbach, di Giorgio Hack, di un vescovo non identificato (forse Enrico di Metz: è proprio la tomba colpita dal raggio di sole), di Alberto Ortenburg e di Udalrico Frundsberg. Il loro ieratico incombere sulla donna orante è parte del fascino di questa fotografia. Le cinque tombe vescovili vennero rimosse dalla parete nel 1910 allo scopo di rimettere in vista e restaurare gli affreschi retrostanti, risalenti al XIV secolo.
Un intervento così invasivo nello spazio interno del duomo trovò giustificazione nel fatto che le lastre tombali non erano nella loro posizione originaria, poiché erano state sistemate nel transetto settentrionale solamente nel corso del XVIII secolo, dopo l’abbattimento della cripta duecentesca. Bisogna tuttavia riconoscere che l’intervento del 1910 produsse una ulteriore decontestualizzazione: dopo vario peregrinare, tre di esse approdarono nel 1975 nella ‘nuova’ basilica sotterranea di San Vigilio, mentre le altre due sono esposte dal 1995 nel Museo Diocesano.