Nel mezzo del cammin del Diocesano

Michele Andreaus, docente di Economia aziendale e Management dell’Università di Trento e direttore del Museo Diocesano Tridentino

Bilancio di metà mandato per Michele Andreaus, docente di Economia aziendale e Management dell’Università di Trento e direttore del Museo Diocesano Tridentino: una sfida interessante, per un museo che deve essere inclusivo, “aperto” e in coordinamento
con le altre realtà museali

Direttore, presentiamoci.
Io sono un accademico, mi occupo di economia aziendale all’Università di Trento, quindi non ho una competenza specifica nel campo artistico; però penso di avere delle competenze gestionali e un’attenzione a tutto il mondo delle aziende no profit e culturali. Sono (pro tempore) anche vice presidente di Pergine Spettacolo Aperto e in passato sono stato vice presidente del Festival della Montagna, quindi non è un mondo sconosciuto.
Non se l’aspettava?
Assolutamente no. Mi è stato chiesto di occuparmi del Museo e con curiosità ho accettato: è una sfida interessante, poi vedremo i risultati tra un po’ di tempo… non sta a me giudicare il mio operato.
Anche i trentini non se l’aspettavano.
Sicuramente è stata una nomina inaspettata per tutti. Adesso il clima è positivo e sereno, con tante progettualità.
Gli obiettivi? Mantenere il trend precedente o cambiare?
Gli obiettivi sono partire dai risultati del passato per andare avanti. Tutto evolve, quindi evolve anche il Museo. Stiamo lavorando con due obiettivi: avere il numero di visitatori pre Covid e portare nel Museo persone che non ci sono mai entrate. Le iniziative che abbiamo messo in atto – conferenze, cene del concilio di Trento, visite alla torre Civica – hanno la stessa finalità: far conoscere il museo.


Quindi molti trentini non conoscono il Museo Diocesano?
Circa l’80% delle persone che hanno partecipato alle cene del Concilio non aveva mai visitato il Museo; sono tutti rimasti colpiti dall’arte e dalla cultura, che vanno ben al di là della dimensione ecclesiastica.
Che però è anche il museo del Concilio di Trento.
Certo. E il Concilio di Trento ha una dimensione sicuramente religiosa, però è anche un atto importantissimo di geopolitica. E qui c’è la storia del Concilio.
Come si fa ad avvicinare il grande pubblico? Non pensa che sia necessaria una certa preparazione culturale per visitare un museo di questo genere?
Questa è una visione elitaria del Museo e lo fa diventare esclusivo. Secondo me un museo deve essere inclusivo, deve creare occasioni per accendere curiosità e voglia di approfondire.
Programmi a breve e medio termine?
Il primo evento è la riapertura della Torre Civica (da venerdì 29 luglio), con visita guidata. È stata una bella operazione, perché il Museo Diocesano è, con Palazzo Pretorio, di proprietà dell’arcidiocesi; la Torre è di proprietà del Comune, ma si accede attraverso il Museo. Quindi le istituzioni hanno dovuto dialogare e sedersi intorno ad un tavolo.
E poi?
Il passo successivo sarà riaprire Porta Veronensis, chiusa dopo l’incendio della Torre Civica. Quindi il Museo, nel suo complesso, include Torre Civica, Porta Veronensis e – quando finiranno i lavori di restauro della cattedrale – la basilica paleocristiana. Comincia a essere un’offerta interessante, non solo per il Museo ma anche per l’aspetto turistico e culturale della città di Trento.

Michele Andreaus, docente di Economia aziendale e Management dell’Università di Trento e direttore del Museo Diocesano Tridentino


Mostre?
Dopo l’allestimento sull’iconografia di Trento, a settembre si terrà una mostra temporanea su Vittorio Melchiori, artista sconosciuto ai più però di grandissima qualità: molte delle vetrate delle chiese di primo Novecento sono opera sua. Ecco qui un altro compito del Museo: far conoscere artisti che hanno avuto un grandissimo spessore culturale, ma sono sconosciuti.
Parliamo della voce spese.
In primis bisogna adeguare Palazzo Pretorio dal punto di vista impiantistico e lumino – tecnico. Dopo l’esplosione dei rincari, la gestione energetica è raddoppiata. Qui bisogna ragionare per fare investimenti: in tre sale abbiamo cambiato i corpi illuminanti, sostituendo i vecchi fari alogeni con dei fari a led e risparmiando così il 90% di energia elettrica. Anche la gestione termica è una voce importante; il Museo vede al suo interno delle opere d’arte che necessitano di un microclima particolare. Insomma la gestione di un palazzo storico non è la gestione di una casa nuova.
I palazzi storici ogni anno necessitano di manutenzione; questo è il retropalco che nessuno vede, ma per un’offerta adeguata bisogna lavorare anche su questi aspetti. Ci sono state negate delle opere perché non abbiamo il microclima adeguato! Il Museo deve essere un’organizzazione efficiente, gestita in modo da tener conto delle sue specificità.
Supporti economici verso il Museo?
Il sostegno economico del Museo è basato su tre voci: c’è una convenzione con la Provincia, ci sono i biglietti d’ingresso e la differenza – la parte più consistente – è quella messa dall’arcidiocesi. Questo il bilancio.
Ma state lavorando anche su altri fronti…
Stiamo iniziando a lavorare anche su delle sponsorizzazioni e sul coinvolgimento di aziende esterne. I primi riscontri sono positivi e rappresentano una boccata di ossigeno. Ad esempio per la mostra sull’iconografia c’è stata una donazione della Cassa Rurale di Trento, che ci ha consentito di cambiare una parte dei corpi illuminanti. Forse li avremmo cambiati lo stesso, ma avremmo dovuto tagliare qualcos’altro.
E il settore delle scuole e dell’istruzione?
È sempre stata un’attività importante; è un’area che va coltivata e rafforzata. Deve essere un’offerta che continua a evolvere. Essendo docente universitario, un minimo di esperienza nell’insegnamento ce l’ho: anche nel mio contesto, le lezioni che faccio oggi sono completamente diverse da quelle che facevo 10 anni fa. Quindi anche l’offerta didattica del museo deve evolvere, tenendo conto delle difficoltà che ci sono.
Quali difficoltà?
Non possiamo permetterci di assumere educatori a tempo pieno, ma a domanda. Molte di queste persone sono laureate o hanno il dottorato di ricerca e nella migliore delle ipotesi portano a casa 800/900 euro al mese, poiché non si tratta di un rapporto di tipo continuativo. Chiaro che se trovano opportunità lavorative più allettanti, lasciano. Tutti i musei hanno questo problema: bisognerà affrontare questo tema e trovare qualche soluzione, magari una gestione condivisa di questi educatori, garantendo continuità e riconoscimento economico. Il coordinamento tra musei potrebbe migliorare la situazione, se solo si anteponesse il noi all’io…
Ecco, com’è il dialogo tra musei?
Con il Mart e con il Castello del Buonconsiglio è buono; è cordiale con il Muse, in quanto sono poche le occasioni di collaborazione. È ottimo con l’Università, sia con l’area umanistica, sia con ingegneria: c’è un progetto sullo studio di Palazzo Pretorio dal punto di vista architettonico per il quale ho coinvolto gli studenti: oltre che un risparmio, è una bella opportunità, che va nella direzione di un museo “aperto”.
Come si “apre” un museo?
Per “aprire” il Museo bisogna essere consapevoli che tecniche e modalità di comunicazione sono diverse rispetto a 10 anni fa. Quindi anche l’assunzione di Margherita Secchi – che si occupa di comunicazione con un’ottima competenza – va in questa direzione. Il social non è tutto, ma per comunicare è importante; e un conto è comunicare a persone di una certa generazione, un conto è convincere un ragazzo di 20/25anni a venire al Museo Diocesano. Dietro questo c’è tutto un progetto di gestione, di comunicazione, di strategie che non possono essere lasciate al caso.
Quindi il museo è sui social.
Lo era prima, lo è di più adesso e lo sarà ancora di più nel futuro. Questo non vuol dire che il Museo si svuota e perde la sua identità; l’attività del Museo deve essere comunicata attraverso canali in grado di intercettare un pubblico che finora lo ha trascurato.
Se lo aspettava così questo incarico?
Me lo aspettavo meno impegnativo! Certo, sapevo che non si trattava di aprire la mattina e chiudere la sera. Se si vuole impostare una strategia questo richiede tempo, dedizione e lavoro di squadra, ognuno con i suoi ruoli e le sue visioni. Qui dentro, quotidianamente, ci si confronta, ci si scambiano le idee e poi si fa una sintesi. Il Curatorium – che è il consiglio di amministrazione del Museo – che prima si riuniva una o due volte all’anno, adesso viene convocato mensilmente. Anche la struttura organizzativa del Museo partecipa alle riunioni e viene coinvolta nelle discussioni. Questo serve a creare spirito di squadra, a condividere le proprie azioni.
La difficoltà maggiore che ha trovato?
Io sono arrivato senza che sia stato fatto un passaggio di consegne: ho trovato i cassetti vuoti! Ho dovuto ricostruire da zero quello che era, anche banalmente, l’organizzazione del Museo. Questo non deve succedere, in nessuna organizzazione; io ho la certezza che quando andrò via (non sono qui a vita), chi prenderà il mio posto accenderà il computer e in mezza giornata ricostruirà tutto. Non da zero, ma da dove sono arrivato io. Ci sono delle aziende che hanno rischiato il fallimento per rapporti lavorativi interrotti improvvisamente! L’organizzazione generale è più importante delle singole persone. Così la vedo io, questo è un po’ l’imprinting che sto cercando di dare al Museo.
Il suo contratto è di 18 mesi, siamo a metà del cammino. E poi, cosa succede?
Non sta a me deciderlo, sarà la diocesi a confermare o meno. Sono assolutamente sereno.
Ha avuto osservazioni o critiche particolari in questo primo periodo?
No, c’è un clima molto costruttivo, positivo. Ripeto: anche il fatto di condividere aiuta ad avere un rapporto sereno, non conflittuale. 

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.