(-1) Nel vortice del tempo che non esiste

Ore 7. Mi chiama Nicoletta, la mia valentissima agente di viaggio. La dogana canadese richiede un nuovo “documento vaccinale”. In pratica si tratta di un’App da scaricare e dopo aver creato un account si deve allegare una fotografia del green pass italiano (!). Faccio, premio invio, la App macina qualche frazione di secondo et voilà, ecco un nuovo green pass, questa volta canadese. Vabbé.
Mi è preso un colpo per niente.

Nel frattempo mi arriva un whatsApp di David che ci aspetta a Toronto. “A che ora vengo a prendervi lunedì mattina? In Canada è festa nazionale, vi scorrazzo un po’ in giro dai!” Aspetta, a proposito, a che ora? Dunque, arriviamo alle 19 ora italiana, oppure ora… Beh lasciamo perdere i calcoli, passa verso le 9 che va benone.
David è di origini trentine, della Valle di Non per la precisione. È il responsabile del Club di Toronto che mi accompagnerà in questi giorni in Ontario e di cui naturalmente avrò modo di raccontare la storia.

Ma in quest’ultima pagina di diario dal segno negativo (meno un giorno alla partenza) volevo scrivere qualcosa a proposito del tempo e della speranza, di quanto siano interconnessi e si influenzino a vicenda.
Il tempo, oramai lo sanno tutti, è relativo. Per Einstein era semplicemente il rapporto tra la massa di un oggetto e il campo gravitazionale generato. Sì, un po’ difficile, certo. Diciamo che varia in base ad alcuni fattori. Non esiste in sé ma solo come relazione di qualcosa rispetto a qualcos’altro.

Quando dirigevo il Trentino Book Festival sperimentavo molto da vicino questo fenomeno i giorni immediatamente precedenti l’inaugurazione. Si cominciava a lavorare alla programmazione in autunno dell’anno prima, poi trascorrevano i mesi scanditi dalle innumerevoli impellenze (contattare gli autori, i luoghi dove tenere gli incontri, girare col cappello in mano per istituzioni e realtà commerciali, fare il simpatico con i politici, ecc.) e c’era questa data là in fondo che attendeva, come un gigante di pietra che spuntava a braccia conserte, là all’orizzonte. Con l’avvicinarsi delle date fatidiche il tempo accelerava. All’inizio pian piano, dolcemente, con un crescendo quasi piacevole. Poi però la velocità aumentava a dismisura, fino a divenire vertiginosa. Il giorno prima, ogni anno, giungeva da chissà dove il “vortice”: questa specie di tornado invisibile che travolgeva improvvisamente tutto. Non c’era più tempo per nulla, per pensare né fare nulla. Non c’era più tempo. Non c’era più il tempo.

La telefonata di Nicoletta di questa mattina mi ha riportato a rivivere questa sensazione. È come se quando si programma qualcosa (un viaggio, un appuntamento, un evento) sotto sotto il nostro cervello credesse che quel momento non arriverà mai. Ho pensato che in fondo anche per il momento del trapasso potrebbe accadere qualcosa del genere. Solo che poi non vi è mai il tempo per poterlo raccontare o per scriverlo in uno diario strampalato come quello che state leggendo in questo momento.

E la speranza? Beh, volevo accennare a un tema che affronterò nei prossimi giorni, e che sarà anche il leitmotiv di questi giorni americani.
Molte delle persone che incontrerò sono figli, nipoti o pronipoti di italiani, persone che a partire della fine dell’Ottocento hanno cominciato ad emigrare, di varcare l’oceano. Forse la sparo grossa, ma per me era la speranza a spingerli, non la disperazione. E lo stesso vorrei dire dei migranti di oggi, quelli che qualcuno tempo fa voleva respingere a cannonate.
Era ed è il desiderio di credere in un futuro per sé e per chi verrà dopo a convincerli a salpare. “Sperare significa credere che qualcuno ci ama”, scrive Enzo Bianchi. “Significa mettersi in cammino verso un altrove, osare di vivere in altro modo”.

Anche io domani diverrò in qualche modo un emigrante. Mi sforzerò di capire cosa hanno potuto provare quelle migliaia e migliaia di padri e di madri che un giorno, sfidando il vortice del tempo, decisero di affrontare l’ignoto. E il vortice che puntava a farmi perdere ogni equilibrio diverrà solo un brezza appena percettibile.

PS: Sto ricevendo tanti messaggi di auguri. Mentre scrivevo mi è arrivato quello di Leonardo Lebenicnik, fine artista del legno e della pietra, che mi ha dedicato un suo scritto, che dice così: “Allora uscire dalla valle era un’avventura, e lui aveva attraversato l’oceano”.
Allacciamo le cinture che si va.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.