Angela è una madre che rappresenta una serie di peccati capitali della società italiana: qualunquismo, razzismo, classismo, e altre macchie indelebili. Angela non lascia spazio all’ambiguità. Angela è un simbolo di tutto ciò che il nostro paese preferisce non guardare in faccia.
In più, Angela è la madre di Antonio Franchini, l’autore de “Il fuoco che ti porti dentro” (Marsilio, 224 pagine, € 18), romanzo che ci trascina in un viaggio che è al contempo un confronto e una resa dei conti. Una scrittura cruda e densa, attraversata da un livore che sembra appartenere a un tempo e a una generazione che si ritrova costretta a fare i conti con le proprie cicatrici. Il libro non è solo la cronaca di una vita e di una morte, ma un resoconto emotivo e intellettuale di come i legami familiari possano condizionare e deformare il nostro essere.
Franchini lo scrive a chiare lettere: «La detesto da sempre, da quando la mia vita ha cominciato a staccarsi dalla sua e si è aperta sul mondo, perché ci ho messo poco a capire che il mondo giusto pensava tutto ciò che mia madre non faceva, non
diceva, non pensava». Un conflitto che molti di noi nati tra il 1960 e il 1980 hanno sperimentato: quel senso di disconnessione tra ciò che siamo e ciò che siamo stati costretti a essere. Il contesto, poi – Napoli, il Meridione e il Sannio – arricchisce ulteriormente il quadro.
Franchini riesce a dipingere un’Italia che non è solo geografica, ma anche emotiva, infusa di una durezza che rimanda al popolo che piegò i romani alle Forche Caudine. Per Seneca, “la fortuna è da temere in ogni tempo”. Questo libro è una riflessione profonda su quel timore, su una madre che avrebbe potuto essere diversa e su una vita che avrebbe potuto prendere altre pieghe, ma che, nonostante tutto, continua a essere pervasa dalla sua ombra.
