Oltre l’interruttore: l’essenza irriducibile della coscienza

Tutti abbiamo l’esperienza di avere coscienza del sé, dai 5 anni circa in poi. E che questa coscienza sia esattamente ciò che rimane in noi e si conservi sempre, mentre il corpo muta insieme alle cellule che lo costituiscono e che vengono sostituite, lo sappiamo tutti. In filosofia si dice che il Nous (la Mente) è irriducibile al Corpo (il Soma) che la contiene e la consente. L’uno non può esistere senza l’altro. “Irriducibile” vuol dire che una cosa non può essere spiegata nei termini usati da un’altra, perché sono realtà diverse, magari anche inglobate in un’unica entità, ma differenti. E infatti sono millenni che vanamente si cerca di spiegare la coscienza con la logica dei corpi: non è possibile.

Gli stessi discorsi filosofici al riguardo finiscono per essere sempre così sfuggenti rispetto alla realtà che possiamo comunicarci qualcosa solo nelle forme dell’immaginazione, sia essa emozione, musica, poesia, religiosità, amore o anche soltanto speculazione teorica e pensiero astratto. E quindi è già un giudizio: non se ne esce.  La realtà è così complessa che non riusciremo mai a conoscere la sua vera essenza, nè capirla. Probabilmente è così. Ciò che è troppo piccolo finisce per comportarsi in un modo che noi non comprendiamo. È lo stesso per ciò che è troppo grande: non si può capire. La nostra mente e la realtà in cui vive usano scale differenti. O, se si vuole, incommensurabili. Sono irriducibili. “Irriducibile”, di qui lo spunto, è il titolo di un saggio uscito nel 2022 di Federico Faggin, inventore del microprocessore che, solo con ciò, ha modificato il mondo. Ho visto su YouTube la presentazione di quest’opera a Milano. Avrebbe dovuto parlare di Intelligenza Artificiale, agli avvocati di Milano, per capire le applicazioni possibili nel mondo della Giustizia. La domanda era, in sostanza, se la IA poteva in qualche modo sostituire almeno in parte l’intelligenza umana, che già si comincia a chiamare IN (Intelligenza Naturale), e giudicare. La risposta del Faggin tecnico è che no, non è possibile: la IA è solo una imitazione della IN e perciò non la può sostituire: «Il computer non capisce un tubo. È solo un insieme di interruttori.» Ma la risposta del Faggin scienziato e filosofo è in realtà un’altra. Nell’introduzione, tra l’altro, scrive: “Mentre studiavo le neuroscienze mi sono chiesto se fosse possibile costruire un computer dotato di coscienza. Se gli scienziati materialistici avevano ragione come avevo sempre pensato la risposta doveva essere sì”. Ma poi, toccando antiche tradizioni filosofiche, racconta della propria esperienza spirituale come “conoscenza da dentro anziché da fuori”, dicendo che solo l’essere vivente: “è un punto di vista di Uno, una parte di Uno indivisibile da Uno e, come tale, eterna”.

Azzardando, posso solo dire che non si tratta di ipotizzare se la IA avrà libero arbitrio o coscienza di sé, ma quanto piuttosto ciò che la stessa, imitando l’uomo, sarà in grado di fare apparire. La IA è già in grado di far simulare sentimenti o raziocinio: con il perfezionamento delle tecniche non sapremo più se ci stiamo relazionando con un essere vivente o con una macchina; anzi, saranno talmente indistinguibili che sarà del tutto inutile saperlo. Il grande rischio sarà quello che in parte già corriamo, e sta nelle sempre più imprevedibili conseguenze del non distinguere più il vero dal falso e ciò che è umano da ciò che non lo è.

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Pubblicato da Stefano Pantezzi

È nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (2018) e alcuni racconti in antologie locali. “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro) è il suo primo romanzo.