Per favore, smettiamola di associare l’idea di libertà a un corpo femminile nudo

Teheran, 3 novembre 2024. Per qualcuno, Ahou Daryaei ha compiuto un gesto di ribellione. Per altri ha “semplicemente” alcuni problemi psichici

Navighiamo in acque torbide: i nostri parametri di giudizio su noi stessi, sull’etica, sui nostri valori, sugli altri popoli e sul mondo intero sembrano avere non due, ma infiniti pesi e misure, applicati in modo totalmente casuale e impulsivo, nella totale assenza di senso critico. Ci sono guerre che indignano, altre su cui si soprassiede. Ci sono eventi assolutamente irrilevanti che diventano battaglie ideologiche, mentre eventi gravissimi – come la soppressione sistematica delle manifestazioni di dissenso nello spazio pubblico – vengono per lo più ignorate.

Oh, tu, senso critico, che giaci striminzito in fondo alle coscienze! Non sei diverso dagli altri muscoli del corpo: se non vieni esercitato, ti atrofizzi.

Dunque, signori e signore, proviamo a esercitarlo insieme, affinché non rimanga, di questo importante strumento, solo un povero moncherino.  

Provate a immaginarvi dentro un campus universitario, appena usciti da lezione, nel fresco dell’autunno novembrino. Immaginate che avete voglia di protestare contro qualcosa: contro il governo, la società, Dio, il carovita, l’inflazione, Donald Trump. Allora – sapete che c’è?! – iniziate a spogliarvi. Che siate uomini o donne, non importa. Vi togliete pantaloni, camicie, calze, canottiere.  Rimanete in mutande, o in reggiseno e mutande. State lì, ignudi. A protestare. Nessuno vi fa caso. Di nascosto vi filmano. Ovviamente vi deridono. Finite sui social. E poi? Quale potrebbe essere l’epilogo di questa avvilente storia? Vi potrebbero fermare i vigili, chiedendovi di coprirvi. Nel caso opponeste resistenza, probabilmente finireste con un TSO.  

In fondo, trovarsi nudi in pubblico è uno degli incubi ricorrenti dell’inconscio collettivo: riflette emozioni come la vergogna, l’imbarazzo e il senso di inadeguatezza.

Bene, ora chiediamoci tutti insieme: perché se un episodio simile avviene in un’università di Teheran, in Iran, la ragazza che ne è protagonista viene considerata – qui da noi – un’eroina?

Secondo quale associazione di idee, rimanere in mutande nella Repubblica Islamica è segno di coraggio, mentre qui da noi è segno di squilibrio mentale? Di fatto, nell’opaco ambiente delle reti sociali, questa ragazza è diventata un meme e un simbolo di libertà. Come mai?

Il senso critico, altamente sollecitato, ci viene in aiuto con cinque grandi esortazioni:

1. Dubitiamo della veridicità di questa storia in base all’esperienza. Nel 2009, sempre in Iran, durante la rivoluzione colorata sponsorizzata da George Soros, girò per mesi il video in cui una ragazza che manifestava, di nome Neda, veniva uccisa per strada da un’arma da fuoco. Per mesi l’uccisione di Neda divenne parte costituente del cosiddetto “movimento verde” fino a quando la storia non crollò: Neda non era mai esistita, il video era una montatura. E non c’era nemmeno ancora Chat Gpt.

2. Smettiamola di associare l’idea di libertà a quella di un corpo femminile nudo. Anche il nudo può essere coercizione, così come il velo è stato anche uno strumento di liberazione. 

3. Non pensiamo di essere culturalmente superiori agli altri popoli. Non lo siamo! Non c’è un modello di umanità “vincente” e altri “perdenti”.  L’umanità è frutto di una storia collettiva fatta di cicli di dominio degli uni sugli altri, che prima o poi finiscono. 

4. Ricordiamoci: le donne iraniane si salvano da sole, non certo con i nostri post e le nostre storie su Instagram.

5. Non andiamo ad esportare la democrazia, senza essere sicuri di averne abbastanza in casa. 

Allenamento concluso. Senso critico stimolato. Ci vediamo alla prossima!

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).