Parlo con Antonia Dalpiaz (poetessa, commediografa, critico teatrale), in un bar del centro storico di Trento: le mascherine, un tavolino e un paio di metri ci separano, ma tante cose ci uniscono. Da quando ci conosciamo? Da trent’anni, da quando di lei pubblicai dieci poesie in italiano, nell’antologia Donne in poesia (UCT, 1990). Quella storica antologia (per cui Marco Pola mi fece i complimenti “I trentini dovrebbero esserti grati per quest’opera”, mi disse) raccoglieva per la prima e unica volta le undici più rappresentative poetesse trentine.
“Quand’è che hai cominciato a scrivere?” le chiedo. ”A tredici anni scrissi le mie prime poesie in italiano, continuando a farlo con intensità sino ai 16 anni. Erano poesie d’amore, molto romantiche… In seguito passai a scrivere versi in dialetto. Ma non ho mai rinunciato a scrivere poesie nella lingua nazionale, sono stata anche premiata in concorsi. Però le mie uniche due raccolte di poesia, Na falivade luce (1990) e Eventarse na vita (1998) sono in dialetto”.
“Gli anni in cui scrivevi quei versi erano anni di fermenti culturali, di roventi dibattiti, di forti aspettative… “.
“Sì, io avevo appena iniziato l’Istituto Magistrale. Ero una sessantottina molto attiva: partecipavo a tutte le assemblee, ai dibattiti, ai cortei… Penso che mio padre fosse preoccupato. Partecipava come me ai cortei, per sorvegliarmi, e poi mi portava via.”
“Non ti so immaginare come sessantottina dura e pura”.
”Poi mi calmai… Finii le Magistrali a 18 anni e quell’estate andai a Londra… Fu lì che conobbi un giovane napoletano di bell’aspetto, che divenne poi mio marito”.
Antonia è nata alla Portèla, il quartiere dei dialettali, come Bepi Mor, Vittorio Felini, Italo Bertotti, Luigi Amech, Marco Fontanari, tutti poeti amati dal padre di Antonia, che le leggeva i loro versi. Così lei imparò a conoscere il rione, ad amare la città ed il suo dialetto. “Il Filò” il gruppo itinerante dei poeti dialettali fondato da Nando da Ala, la chiamò. C’erano Giovanna Borzaga, Umberto Raffaelli, Lorenzo Cosso, il grande Arcadio Borgogno. Antonia girò per il Trentino, fece esperienza, imparò a recitare. Chiuso “Filò”, fu tra i fondatori del “Cenacolo”, presieduto da Elio Fox , un ensemble di cui facevano parte molti dei più importanti dialettali trentini, di varie vallate: come Italo Varner, Lilia Slomp, Ferrari, Bruno Groff, Luciana Sicheri, Corrado Zanol”.
”È stato molto bello; l’anno scorso abbiamo festeggiato il Trentennale, girando anche in Veneto e Lombardia, conosciuto altri gruppi di poeti, fatto amicizia, partecipato a recite, feste della poesia, convegni”. Come quello che il ”Cenacolo”, da una ventina d’anni organizza sull’altopiano della Vigolana, sotto le ali presidenziali di Elio Fox e con Antonia professionale presentatrice, che vede l’intervento di poeti di molte province.
Ma lasciamo la poesia per parlare di teatro. La Dalpiaz ha scritto qualcosa come 39 testi teatrali per adulti e nove per ragazzi, complessivamente quindi una cinquantina di lavori, equamente spartiti tra dialetto e lingua nazionale, tutti rappresentati con successo. Nella lingua nazionale ha scritto testi di ispirazione storica (un genere da cui l’autrice si sente molto attratta), in un italiano intrecciato con battute dialettali: Cubitosa di Arco (1995), ambientato nel Medioevo; Ora et labora (1996), racconti di frati durante il Concilio di Trento; Via del Mercato Vecchio (1997).In dialetto, Cara mamma state di coraggio, ambientato nella Grande Guerra. Le commedie di maggior successo sono state Robe da ciodi (1987); La fadiga de capirse (1989); Do pei n’ te na scarpa (1991), guarda caso tutte e tre nella parlata trentina. Quella per il teatro è per Antonia una malattia infantile poi divenuta cronica: “Ho recitato sin da bambina nella filodrammatica La nossa Trent, di cui in seguito diventai presidente. Nel 2001 mi sono laureata al DAMS, maturando la mia cultura generale in particolare quella teatrale. Le mie preferenze sono per il teatro della parola, guardo ai classici: Shakespeare, Moliere, Pirandello, Brecht… Vedo il palcoscenico come uno degli ultimi spazi dove si può ancora confrontarsi, dibattere, dove si può denunciare coraggiosamente. Non mi sento attratta dal teatro d’evasione, dal teatro gastronomico: anche se far cassetta fa la fortuna di certi autori. Sono per un teatro che faccia pensare.
Antonia, scrìvene na comedia che faga rider, che ne faga desmentegar!, mi ha detto qualcuno. Io capisco anche, ma ho una concezione della funzione del teatro un po’ più seria…”. “E del ruolo del dialetto in teatro che cosa mi dici? Non c’è un grosso paradosso? Da una parte il dialetto che è sempre meno parlato dai giovani, che è sempre più eroso dalla lingua nazionale, per non dire dall’inglese: dall’altra teatro dialettale che sbanca il palcoscenico?”. “Il dialetto è famigliare, rilassante, rassicurante, viene incontro ad aspettative che uno sente dentro di sé. Molto pubblico si sente spaesato, intimidito dal tipo di problematiche che il teatro in italiano gli pone. È vero perché il dialetto usato adesso in teatro manca troppo spesso di anima, di spessore. Non è quello di qualche decennio fa, di autori storici, che facevano teatro civile, sociale, di costume, brillante e perforante allo stesso tempo. Adesso il dialetto manca troppo spesso di qualità, viene utilizzato per raccontare cose senza identità”. ”E dei nuovi gruppi apparsi negli ultimi anni, composti in maggioranza da giovani attivi nei laboratori teatrali, (come Portland ad esempio), cosa mi sai dire?”. ”Fanno delle cose nuove, sono molto bravi. Il limite, a mio avviso è che il panorama teatrale è diviso a compartimenti stagni, ognuno col proprio pubblico, il proprio genere, con gli uni che non vanno a vedere gli altri. Si fa teatro non tanto per amore del teatro, ma per voglia di apparire, per esibizionismo, per narcisismo. D’altronde siamo nell’epoca dove trionfa non l’essere ma l’apparire”.
In conclusione dovremmo dire qualcosa sulla Dalpiaz narratrice, che ha scritto – oltre a un libro per ragazzi – i romanzi Una donna imperfetta, Regalo di compleanno e Doppia pelle (tutti per Curcu Genovese e un altro sta per essere pubblicato con un altro editore). Con la schiettezza che credo mi contraddistingua, dico ad Antonia che i suoi romanzi non mi entusiasmano e che comunque, a mio a avviso, sono inferiori al suo teatro e alla sua poesia. ”Allora lasciamo perdere…”, mi risponde lei candidamente. E poi, sorridendo e con gli occhi brillanti: “Sai che il testo d’una mia canzone, Fiori de cristal, musicata dal maestro Roberto Gianotti, sta avendo successo, cantata da cori nazionali e anche stranieri?”
E allora, cari lettori, segnatevi questa: Antonia Dalpiaz, poetessa, commediografa, critico teatrale e ora anche “paroliera”!