Possiamo cambiare la nostra vita senza per questo “condannarci” all’infelicità?

Il Festival dell’Economia di Trento, quest’anno svoltosi necessariamente on-line, era dedicato al tema “Ambiente e crescita”. Un argomento, diciamo così, piuttosto ben noto, alle nostre latitudini. Forse le peculiarità del nostro habitat (siamo nel cuore delle Alpi, abbiamo le Dolomiti patrimonio Unesco e gli orsi di Life Ursus, per quanto ci facciano tribolare), forse anche la nostra vicinanza al mondo tedesco, han fatto sì che da noi una certa sensibilità per i temi “dell’ecologia”, come si diceva nei profondi anni 70, si sia sviluppata anche prima che altrove. Oggi siamo una terra di parchi naturali, centri di ricerca che ai temi del green dedicano non poco impegno, raccolta differenziata ed energie alternative, protezione civile e edilizia sostenibile. Non esente da problemi, certo, e da contraddizioni. Per dirne una: conciliare un’industria turistica che dà lavoro e benessere a migliaia di persone con la necessità di limitare, contenere, ridurre… cosa? Ma tutto, naturalmente: cemento, emissioni, traffico, rifiuti, consumi. Un’impresa da far tremare i polsi.

Questo argomento, del limite, che 50 anni fa fu un cavallo di battaglia del Club di Roma – ma allora ci si preoccupava dei limiti “fisici” allo sviluppo, ritenendo che il petrolio si sarebbe presto esaurito – è tornato più volte nelle riflessioni che abbiamo sentito al Festival. Sinceramente, a chi ha familiarizzato in passato con i temi del de-sviluppo, non è parsa una novità.

La novità è semmai che fino all’altro ieri si pensava che l’alternativa al “fare marcia indietro” fosse rappresentata dall’evoluzione tecnologica. Questa visione accomunava il mondo della politica e quello dell’economia, perché entrambi devono prospettare ai cittadini un futuro di sviluppo e maggiore benessere, non di rinunce e sobrietà. Sono gli stessi cittadini ad esigerlo, no?

Ma, stando ad alcune relazioni sentite al Festival, oggi quel tipo di ottimismo post-illuminista sembra un po’ appannato. Le certezze vacillano, ha ammonito Amitav Gosh, che non è un economista ma uno scrittore e un antropologo (e, forse per questo, vede le cose da una prospettiva un po’ più ampia). Altre volte nella storia l’uomo si è accorto di non poter dominare la natura, nonostante la scienza fosse in piena ascesa: pensate al terremoto di Lisbona, e allo choc che produsse, Voltaire ne scrisse sul suo Candido. Oggi, di nuovo, il cambiamento climatico ci mette di fronte ai nostri limiti. Con la differenza che, dopotutto, un terremoto è al 100 per 100 un evento naturale, mentre il surriscaldamento globale è – in tutto o in parte, a seconda delle tesi che si vogliano sposare – un prodotto del nostro modello di sviluppo.

Ecco allora che per quanti sforzi si faccia per modificare – tecnologicamente – il nostro impatto sull’ambiente, ovvero la nostra “impronta ecologica”, ad esempio cercando di diminuire il consumo di combustibili fossili, e di rivolgerci alle energie sostenibili, il risultato rimane sempre modesto. Non basta, ha tuonato Esther Duflo, Nobel per l’Economia 2019.

Dunque, si ritorna lì, dove erano arrivati i primi ecologisti. Certamente bisogna continuare ad investire nelle nuove tecnologie. Ma bisogna anche ripensare gli stili di vita, e quindi consumare meno, rinunciare a quote crescenti di individualismo, perseguire una maggiore equità fra paesi e regioni più o meno sviluppate (o anche fra classi sociali, che si fa prima a dirlo). Contenere la crescita demografica, che in Italia, per la verità, è già diventata decrescita. Questo però non può essere affidato alla buona volontà dei singoli. La retorica dei piccoli passi ha fatto il suo tempo: servono al contrario decisioni collettive, serve una governance sovranazionale, mondiale. Chi la metterà in piedi? L’Onu? L’Europa? L’Eurasia? Chi? E con quali effetti per le democrazie? Questo è tutto da discutere. E poi, quand’anche il precipitare della “crisi climatica” ne imponesse in tutta fretta l’adozione, sapremo condividerne le decisioni? Chi scrive è il primo a mettere le mani avanti: non lo so, non si sa. Nessuno lo sa. Già il lockdown imposto dal Covid 19 ha messo a dura prova la mia/ nostra/vostra pazienza. Ma – ha detto ancora Duflo – ci ha anche mostrato che possiamo cambiare la nostra vita senza condannarci all’infelicità.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.