“Resilienza”, parola con cui in questi mesi il pubblico ha preso confidenza. È una delle parole dell’anno, citata ogni volta che si descrive la capacità mostrata da molte persone di resistere ad una grande sfida in corso: adattandosi, modificando abitudini, sopportando e in definitiva accettando che la crisi in corso si supererà solo facendosi “concavi e convessi” rispetto alle avversità. La psicologa Serena Valorzi, che opera a Trento e a Cles, ha spiegato i meccanismi di questa strategia “salva-vita”: «La resilienza è l’insieme di risorse psicologiche che abbiamo e che spesso non sappiamo nemmeno di avere. Per attivare la propria resilienza può essere utile recuperare la memoria di altre esperienze tragiche, ricordandoci come ce l’abbiamo fatta in altre occasioni». Una personalità resiliente è capace di “caricarsi sulle spalle” la crisi che sta affrontando: «Il primo passo è ammettere a se stessi: “Sono in difficoltà” – ha spiegato Valorzi. Occorre essere consapevoli che al termine di una grande crisi non si può tornare uguali identici a quelli che si era prima». Un approccio pragmatico, ma che si sposa con una spinta verso il futuro: «La persona resiliente è capace di avere un’idea di sé nel futuro che non comprenda solo immagini catastrofiche – ha evidenziato la psicologa. È importante immaginarsi in una nuova dimensione che comprenda questo vissuto». È essenziale comprendere che la resilienza non è solo una caratteristica individuale, ma una capacità di tutta la comunità: «La resilienza si attiva al meglio quando abbiamo la certezza di poter chiedere aiuto a qualcuno – sottolinea Valorzi. Altrimenti si cade nello scoramento, si pensa: “Oddio, non ce la faccio”, si arriva alla disperazione e alla depressione». Per questo è stata importante la reazione collettiva che nella prima fase della pandemia aveva portato la popolazione a stringersi in un grande “abbraccio” di reciproco conforto: «Ci si scambiava messaggi dai balconi, dagli smartphone. Questi gesti di vicinanza stimolano la produzione di ossitocina e riducono l’adrenalina, contenendo così stress e paura», spiega Valorzi. Poi però alla solidarietà si è sostituita una rabbia profonda e diffusa, che maschera la paura con un senso di onnipotenza e che spesso sfocia nel negazionismo non risparmiando gli eroi della “prima ora”, medici e infermieri: «Nel mio studio incontro molti operatori sanitari. Vedo la loro sofferenza di fronte agli attacchi dei negazionisti.
Si domandano: “Chi me lo fa fare”, percepiscono che non c’è più la gratitudine di comunità che c’era nella prima fase». Insomma, è proprio la resilienza degli operatori sanitari quella maggiormente “sotto attacco”: «La consapevolezza di avere il sostegno unanime della comunità è un grande elemento di resilienza, perché rende capaci di sopportare grandi sfide. Temo che chi sminuisce l’emergenza e attacca gli operatori sanitari stia facendo loro autentica violenza».
«Spazio a una comunicazione più gentile…”
«Serve una comunicazione più gentile, perché l’assenza di contatti umani e di abbracci ha reso le persone preda di una rabbia senza pari, che sfogano sui social-network».
Se c’è un “luogo” dove la resilienza non sembra affatto essere di casa sono proprio i social: negli ultimi mesi il dibattito online si è fatto efferato, violento, crudele e sadico. Serena Valorzi spiega così questa escalation nei toni: «Oggi è molto presente un senso di onnipotenza aggressiva, simile a quella degli adolescenti. Lo si vede sui social, che nella prima fase della pandemia si erano animati con messaggi pieni di calore umano. C’era la sensazione di stare tutti insieme».
Poi sono emerse la stanchezza e la rabbia: «L’essere umano è un animale sociale, è impensabile stare mesi e mesi senza un abbraccio, una stretta di mano, tutto ciò aumenta l’irritabilità e la rabbia». La dottoressa Valorzi ha però spronato a non confondere i social-network con la realtà nella sua interezza: «Non tutta l’umanità sta sui social, le persone gentili dimostrano la loro vicinanza nella relazioni reali».