“Capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”. E’ questa una delle definizioni di resilienza ritrovabile in molti dei dizionari presenti in commercio. Se volessimo applicarla ai nostri amici a quattro zampe, dovremmo necessariamente parlare di “tempra”. Essa è, infatti, quella dote caratteriale volta ad accettare l’insorgenza di “stimoli negativi”, interni o esterni all’organismo, pur mantenendo un sufficiente stato di equilibro psico – fisico. In altre parole, cogliendo una condizione di negatività, fisica o psicologica, chi ne è destinatario presenta una certa predisposizione a viverla e superarla senza che essa stessa possa pregiudicarne la vita futura. Ebbene, se si parla di dote caratteriale si dovrà fare richiamo alla genetica, ritenendo che vi siano soggetti “geneticamente” portati a resistere alle “intemperie” più di altri. Da questo punto di vista, la suddetta capacità di resistere sarà, per ogni cane, irreversibile e immodificabile, sebbene le esperienze della vita potranno fortificare, entro certi limiti, anche coloro che nei propri geni presentassero una minore potenzialità di far fronte alle controversie.
Ma c’è un qualcosa di più e si chiama “immanenza”. I cani, e tutti gli animali, sono soggetti “immanenti” nella misura in cui si limitano a considerare lo “status quo”, lo stato delle cose, senza porvi pensieri concettuali rivolti, ad esempio, alle prospettive future. E questa condizione, diciamocela tutta, li salva dalla negatività delle sensazioni che caratterizzano il nostro tempo e li preserva da una sofferenza energetica che troppo spesso sconfina nel pessimismo. I loro comportamenti sono votati a raggiungere il miglior stato di benessere, nel minore tempo possibile e con il minor sforzo possibile. Questi stessi comportamenti sono diretti ad escludere, superare ed evitare, nel minor tempo possibile, una condizione di disagio ben sapendo, a livello involontario, che il disagio aprirà le porte ad una ridotta possibilità di sopravvivenza.
Eccoci, quindi, al principio cardine, il principio di sopravvivenza. Per sopravvivere devo andare oltre il negativo e volgere al positivo, fatto quest’ultimo di cibo, acqua, salute, calore, sicurezza, e giuste interazioni sociali e sessuali. Per sopravvivere dovrò avvalermi dell’opportunismo, inteso come opportunità di trovare mezzi e strumenti per procedere innanzi.
Verrebbe, a questo punto, da chiederci se i nostri amici possano conservare la memoria degli eventi vissuti. La risposta sarà affermativa, ma con l’avvertenza che si tratterà di memoria “semantica” e non “episodica”. Essi, a differenza nostra, ricordano ciò che è accaduto attraverso il collegamento tra eventi “oggettivi”, escludendo, a quanto sembra, la reminiscenza “soggettiva” degli eventi stessi.
In parole di sintesi, questo vivere il presente “associato” li renderà altamente capaci di superare, e resistere, oltre ogni possibile immaginazione.