Progettare assieme un futuro per il continente

A Trento, al Teatro Sociale, Romano Prodi aveva predetto che le elezioni non avrebbero provocato un “ribaltone”, che probabilmente si sarebbe costituita una nuova “maggioranza Ursula (von der Leyen)”, con qualche aggiustamento. La sua previsione potrebbe essere corretta, si tratta però di capire di che entità saranno questi aggiustamenti. Molto dipende dalla direzione che prenderanno i governi degli stati membri, che ovviamente hanno un peso rilevante a livello europeo, in particolare nella composizione del Consiglio. Fra tutti, quelli di Francia e Germania, che sono ancora il motore, economico ma anche militare, dell’Europa (dopo la Brexit la Francia è rimasta l’unico paese dell’Unione a disporre di un arsenale atomico).

Il pericolo, per la tenuta del sistema, è quello di un’erosione dall’interno, come più d’uno ha giustamente sottolineato. Prodotta cioè dall’azione di forze politiche antieuropee che trascinano nella loro direzione anche quelle tradizionalmente più moderate. In Francia questa ipotesi sembra molto realistica, mentre l’Italia ha una posizione molto peculiare, con una maggioranza di governo che ha al suo interno forze antieuropeiste ma anche una leadership indiscussa che, almeno su alcuni temi, si è via via spostata, per realpolitik o per convinzioni via via maturate, su posizioni più filo-Unione e decisamente atlantiste, soprattutto per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina.

All’Europa oggi viene rimproverato tutto e il contrario di tutto. Di essere fredda, distante, capace solo di regolamentare le minuzie (un tempo si diceva la circonferenza dei cetrioli, oggi la produzione delle farine di insetto). Ma anche di essere guerrafondaia (al traino degli Usa) e troppo impositiva nell’imporre il green deal. Ci può essere del vero in ciascuna di queste critiche. Così come certamente c’è del vero nelle criticità evidenziate subito dopo il voto da un intellettuale di calibro come Paolo Rumiz, figlio di una città di confine, ex-mitteleuropea, quale è Trieste, che vertono sull’incapacità dell’Europa di narrare se stessa, di creare emozione e affetto nei suoi cittadini. Resta un fatto inconfutabile: cosa saprebbero fare, di meglio, i singoli Stati? Davvero riuscirebbero a navigare da soli nell’oceano della globalizzazione? A fare autonomamente un’efficace politica estera? A fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico? A creare sviluppo, sostenibile o meno? Oggi non è possibile rimpiangere il giochetto della svalutazione, che prima dell’euro consentiva all’export di alcuni paesi, come proprio l’Italia, di “volare”. C’è semmai da capire come difendere il lavoro e le industrie europee dall’invasione cinese, resistendo anche alle pressioni delle multinazionali (che per definizione poco si curano della salute degli stati o dei territori dove si insediano). 

Mi pare comunque – anche questo è stato detto al Festival di Trento – che l’illusione di stare meglio fuori dalla Ue sia già crollata in un altro paese, il Regno Unito. No, lassù la Brexit non ha aperto la strada a una nuova età dell’oro. Tuttavia non è stata senza conseguenze, anche al di qua della Manica. Difficile pensare ad una identità europea piena, forte, senza la Gran Bretagna, la patria della più antica democrazia e dei Beatles. Ecco una missione degna di un’Europa che vuole recuperare coesione, non soltanto difendendosi da un nemico esterno (oggi la Russia, domani chissà?): riallacciare con Londra, ricostruire il rapporto con Londra. Progettare assieme un futuro per il continente.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.