Tra pile di vecchi quaderni spunta una foto: due bambini, chi sono? Costretta dagli anni ad avvicinare la foto al viso e strizzare un poco gli occhi improvvisamente gli tornò alla memoria. Ma sì, è una foto scattata il primo giorno di scuola della prima classe: con la loro cartella nuova, i capelli raccolti in due codini la bimba e il ciuffetto “ingellato” il bambino, l’aria spaesata e il sorriso un po’ forzato.
Una certa malinconia l’affliggeva per le aule vuote e la scuola silenziosa. Mancavano le loro voci, il loro brusio, insomma la loro presenza, da cui acquistava un senso anche quella delle maestre. Era quella per lei una delle circostanze più difficili dell’anno: il riordino dell’aula a conclusione dei cinque anni con una classe. Il momento più trascurato dall’Istituzione ma più denso di significati della vita scolastica in cui si trovava da sola a scegliere cosa tenere e cosa buttare. Cosa ha avuto significato e dovrebbe rimanere, cosa invece esaurisce la sua funzione? E sì, quella foto decise di tenerla e metterla con le altre delle innumerevoli prime classi della sua carriera.
Li ricordava un po’ tutti i “primi” giorni. L’emozione e l’attenzione per l’accoglienza e ascolto da dare ad ognuno di quei piccoli, i loro disagi, la soddisfazione per aver ritrovato un certo compagno o la delusione per averne visto un altro in un’altra sezione, il distacco difficile da gestire dai genitori di qualche bambino, la curiosità dei più grandi verso i nuovi arrivati.
E poi un libricino sbuca tra qualche disegno, ecco dove era finito! La prima lettura che affidava sempre ai bambini di ogni ciclo. E le schede di valutazione e i plichi di autorizzazioni tenuti insieme da delle graffette, tutta roba che si può buttare a differenza dei disegni a ricordarle i progetti, le letture, le risate, i gridolini, gli schiamazzi, le difficoltà e le soddisfazioni di un lungo percorso. E ancora, i biglietti scritti ed indirizzati a lei per Natale o il compleanno o un semplice lavoretto. E poi c’è un altro plico di carta da conservare per la vita: le lettere tradotte per lo scambio con il Kenya, una corrispondenza a segnare molte speranze per il futuro.
Sentiva il bisogno di sedersi in quell’aula silenziosa e presto spoglia, sopraffatta da un’emozione di tristezza, nel dover lasciare andare i ragazzi per le loro strade, mista all’orgoglio di vederli cresciuti. Come tutti gli insegnanti, sperava che l’avrebbero portata un po’ nella loro vita, come loro sarebbero rimasti nella sua. In fondo, per ben cinque anni l’avevano fatta ridere, arrabbiare, innervosire, stancare, stare in pena, forse soprattutto quelli difficili con cui ogni piccola conquista è costata fatica. Quei ragazzi che ha amato anche se in certi momenti non riusciva a sopportarli non sarebbero stati più i “suoi” bambini. Affidati a qualcun altro che spera sia bravissimo. E le sembrava sempre che avrebbe potuto insegnare loro anche questo e quest’altro, ma non aveva avuto tempo.
E mentre la sua immaginazione si riempiva dei colori dell’estate, dei viaggi e degli incontri che ognuno avrebbe fatto ma non avrebbe portato nella sua aula all’inizio del nuovo anno, sentì stringersi dentro qualcosa: la mancanza che avrebbe provato perchè non li avrebbe ritrovati nei loro banchi, dove di solito li vedeva. Finché altri ragazzini sarebbero entrati nella sua vita di insegnante e la storia si sarebbe ripetuta.