Ricevo il messaggio di un vecchio amico, che mi ringrazia perché durante le vacanze, grazie alla lettura di un mio romanzo, si è ritrovato “dopo molti anni, immerso nella lettura”. È una frase che in superficie sembra comune, quasi banale, ma che dentro di me risuona con un’eco profonda. Solo il giorno prima, per pura coincidenza o per un misterioso intreccio di eventi, avevo letto la lettera di Papa Francesco sul “ruolo della letteratura nella formazione” (link), scritta il 17 luglio scorso. Un testo che, devo ammetterlo, mi aveva colpito nel profondo, lasciandomi in uno stato di riflessione inquieta.
Papa Francesco scrive che “nella lettura di un libro il lettore è molto più attivo. In qualche modo riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia piena di drammi e simbolismi, e in questo modo ciò che emerge è un’opera ben diversa da quella che l’autore voleva scrivere”. La lettura, dunque, non è un atto passivo. Non si tratta di un semplice assorbimento di parole e idee altrui, ma di una rielaborazione, una riscrittura che rende il lettore co-creatore dell’opera stessa. Questo pensiero mi affascina, e nello stesso tempo mi inquieta.
È quel verbo, “amplificare”, che mi impressiona soprattutto. Cosa significa realmente amplificare un’opera letteraria? Significa darle nuova vita, un respiro più profondo, o forse trasformarla in qualcosa di diverso, che sfugge persino al controllo dell’autore? Che la letteratura amplifichi l’umano, oltre a rappresentare qualcosa di prodigioso, garantisce dunque esperienze psichiche e sensoriali che altrimenti non si potrebbero fare, o che arriverebbero solo dopo un certo tempo, rischiando peraltro di non venire riconosciute.
“Il nostro sguardo sul mondo ordinario – scrive ancora Francesco – è ridotto a causa della pressione degli scopi operativi”. Viviamo in una società che ci spinge costantemente verso l’efficienza, la produttività, l’azione immediata. E in questo vortice, perdiamo la capacità di fermarci, di osservare, di comprendere. Il rischio diventa allora quello di cadere in un efficientismo che impoverisce la sensibilità, riducendo la nostra capacità di percepire il mondo in tutta la sua complessità. Un processo che è necessario controbilanciare. Come? Prendendo le distanze da ciò che è immediato, rallentando. Tutte cose possibili, secondo il Papa, anche grazie alla lettura di un romanzo.
La letteratura diventa allora una palestra dove allenare lo sguardo a cercare ed esplorare la verità delle persone e delle situazioni come Mistero. È un’idea che mi affascina moltissimo: il romanzo non è solo un rifugio o un intrattenimento, ma uno strumento di formazione, una via per comprendere meglio il mondo e gli altri, e forse anche noi stessi.
Per questo ringrazio con tutto il cuore l’amico che mi ha scritto il messaggio. E di averlo fatto in coincidenza con la lettura del testo di Francesco.
Uno dei motivi per cui continuo a praticare questa attività così apparentemente anacronistica è che sovente si ricevono riscontri come questo, che aprono il cuore e, partendo da una quota di finzione e di imitazione della realtà, ti rimettono in connessione con la realtà stessa. A quel punto, magari per brevi istanti, si prova qualcosa di molto, molto simile alla felicità.