“Rehab? No, grazie!”

Abbiamo tutti amato la sfrontatezza di Amy Winehouse, quella delle sue pose, quella racchiusa nella sua magnifica voce. E abbiamo tutti pianto quando abbiamo constatato che nascondeva un oceano di sofferenza, in cui alla fine è affondata.

Oggi è con questo duplice spirito che ascoltiamo una canzone elettrizzante e apparentemente allegra come “Rehab”, che parla del suo rifiuto di disintossicarsi dall’alcol. Il testo, scritto con la poetessa americana Erzsebet Beck, è chiaro fin dall’inizio, e arriva come una sberla. “Hanno cercato di mandarmi in riabilitazione, ma ho detto: no, no, no”. Chiaro? Un “no” ripetuto tre volte. Più avanti, l’uomo (presumo il padre, ma potrebbe anche essere uno psicologo), l’incalza: “Penso solo che sei depressa”. E lei, sarcastica: “Sì, piccolo, e tutto il resto”. Una risposta degna di una diva, anche se alla fine ammette: “Non voglio bere mai più. Ho solo bisogno di un amico”. La canzone vinse 3 Grammy Award. Non bastò a salvarla.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.