C’è una fotografia che mi tormenta. Non è un’immagine reale, ma una costruzione mentale che nasce dalle annuali statistiche riportate dal Censis. Vedo un uomo davanti a un libro, o forse davanti a uno schermo. Non sta leggendo: sta fissando. Le righe sfuggono come neve su un parabrezza, lisciano la superficie senza depositarsi. Non sa, non si interroga, e soprattutto non gli importa. È il volto dell’ignoranza contemporanea, quella “grassa e profonda” che non pare più una mancanza ma una scelta. Ignoriamo, letteralmente. Passiamo oltre. Siamo indifferenti alle connessioni che legano D’Annunzio a Montale, la Rivoluzione francese al nostro presente, o Gaza al resto del mondo. E non è solo un problema di conoscenza, ma di significato: sapere perché Dante è Dante o perché un missile su una scuola a Khan Younis non è solo un “atto di difesa”. Ci svuotiamo di tutto ciò che ci lega a qualcosa di più grande, accettando invece il qui e ora come una prigione.
Oggi l’ignoranza non è più l’assenza di sapere, è un meccanismo di protezione. È comodo non ricordare l’anno dell’unità d’Italia, perché allora non dobbiamo affrontare l’unità che ci manca oggi. È più facile confondere Montale con un presidente del Consiglio, perché chi mai ha tempo per la poesia, quando siamo schiacciati dall’urgenza del quotidiano? Ed è così rassicurante ignorare Gaza, l’Ucraina, la Siria, perché guardare significherebbe indignarsi, sentire e, forse, agire.
Un atto che ci costerebbe troppo.
“Restiamo umani”: così concludeva i suoi pezzi il pacifista Vittorio Arrigoni, ucciso proprio a Gaza nel 2011. Una frase che oggi suona come un lusso. Resteremo umani se avremo il coraggio di restare fragili, sbilanciati, aperti. Ma forse è troppo tardi. Forse dovremo accontentarci di una versione semplificata e anestetizzata della nostra stessa esistenza, disconoscendo ciò che ci definisce veramente. Allora, restiamo subumani, vi prego. Ignoranti, persi, ridicoli. Ma ancora capaci di inciampare su una poesia, su un pianto, su una verità troppo grande per essere ignorata.
Forse è da qui che ricominceremo.