Ricordarsi di non dimenticare

Andrea durante una gita in montagna

Quando c’è la salute, c’è tutto. Lo abbiamo sentito dire tante volte, soprattutto dopo una brutta avventura sanitaria. A mente fredda, questa affermazione è sicuramente eccessiva, perché accanto alla salute la vita richiede molto di più, in termini di senso, di affetti, di condizioni sociali e economiche. Tuttavia, che la salute sia un bene essenziale per la qualità del vivere è fuori dubbio. Quando si sta male ogni cosa è più complicata, faticosa, a volte quasi insostenibile. Quindi riservare molta attenzione alle condizioni del proprio corpo e della propria mente è fondamentale, un dovere assoluto. Se poi parliamo di patologie che non solo aggrediscono il nostro corpo, ma anche il nostro senso di vita, la questione diventa ancor più delicata. 

È il caso delle persone affette da Alzheimer, una malattia terribile che nei casi gravi annienta la nostra identità, ciò che siamo, i nostri riferimenti più veri e profondi. 

In Italia ci sono circa 1,2 milioni di persone affette da Alzheimer. In Trentino ce ne sono circa 10mila. Negli ultimi 10 anni, si è registrato un aumento di circa il 30% di persone affette da questa grave patologia, principalmente a causa dell’invecchiamento della popolazione e all’aumento dell’aspettativa di vita. Questo ha portato a una maggiore consapevolezza e attenzione verso la malattia e alla necessità di trovare soluzioni efficaci per affrontarla. La ricerca di una cura per l’Alzheimer è difficile principalmente a causa della complessità della malattia stessa: l’Alzheimer coinvolge infatti molteplici fattori e processi nel cervello, rendendo difficile individuare un trattamento efficace che possa invertire o fermare la progressione della malattia. Inoltre, la diagnosi precoce è spesso complicata e i sintomi possono variare notevolmente da persona a persona. In Italia, attualmente vengono investiti circa 30 milioni di euro all’anno per la ricerca sulla cura dell’Alzheimer. Nel resto d’Europa, si investono circa 1 miliardo di euro, mentre gli Stati Uniti investono circa 2 miliardi di dollari all’anno.

Alessandra Zucchelli ha 61 anni, il marito Andrea, suo coetaneo ha ricevuto la diagnosi tre anni fa e la cura a cui si sottopone quotidianamente corrisponde al protocollo del ricercatore americano Dale Bredesen: un approccio alla terapia dell’Alzheimer che si concentra su dieta, esercizio fisico, sonno e riduzione dello stress per migliorare la salute cerebrale e per affrontare le cause multiple della malattia anziché un trattamento sintomatico. Attualmente non utilizza il farmaco Donanemab, approvato due mesi fa dalla Food and Drug Administration (FDA) e in via sperimentale, riservato agli adulti colpiti da Alzheimer sintomatica precoce (AD), con decadimento cognitivo lieve (MCI) e persone con lo stadio di demenza lieve e con patologia amiloide. Attualmente risulta la prima e unica terapia mirata farmacologica.

La sua testimonanza è importante perchè come lei stessa afferma “Vorrei che fosse un contributo, anche modesto, affinché altre persone evitino l’errore da me commesso, non riconoscendo i segnali precoci della malattia, richiedano accertamenti alle prime manifestazioni sospette. Infatti più tempestive sono la diagnosi, più alte le probabilità di ottenere risultati positivi attraverso le cure. 

Inoltre, ogni possibile ritardo crea dolore inutile nel malato, che si sente incompreso nelle sue difficoltà”.

Alessandra e Andrea

Quali sono stati i primi segnali?

Da cinque anni Andrea era spesso irascibile, mi contraddiceva palesemente davanti ai figli, criticava ogni mia azione ed ogni mio acquisto, anche banale. Successivamente manifestò un atteggiamento evitante nei confronti di ogni forma di vita sociale. Quando iniziò a disertare persino le feste in famiglia e a diventare sempre più intollerante nei confronti dei suoi amici, capii che qualcosa non funzionava, ma sbagliai completamente direzione arrivando a ipotizzare la sindrome di Asperger, una patologia dello spettro autistico che colpisce la capacità di socializzare ma risparmia le facoltà cognitive. In seguito comparvero i segnali più tipici della malattia come dimenticare in giro cellulare, chiavi, portafoglio o addirittura lo zaino. 

La sua mente matematica, che era capace di trovare risultati con i numeri periodici, ora non ricordava le tabelline e non riusciva ad eseguire semplici calcoli. Era ormai evidente che si trattava di una grave patologia da identificare con urgenza. 

Mi puoi elencare le principali tappe dell’iter diagnostico?

L’occasione si presentò ben presto, nell’ottobre 2021, quando in seguito ad un piccolo trauma accidentale in campagna, Andrea mi chiese di prenotargli un appuntamento con il medico di medicina generale. 

Prima della data fissata riuscii a parlare con il medico via telefono e gli esposi le mie preoccupazioni avendo notato comportamenti atipici.

Furono perciò prescritti una serie di esami e visite specialistiche. Avevo già avvisato il medico che Andrea era quasi vegano ed era quindi molto probabile l’esistenza di uno stato carenziale nell’alimentazione. Infatti, le analisi del sangue evidenziarono un gravissimo deficit di vitamina B12. Fu iniziata quindi una terapia parenterale con iniezioni intramuscolari a cadenza settimanale. 

Poco tempo dopo Andrea fu visitato da una neurologa, amica della sua famiglia, alla quale mi ero rivolta per un consiglio. Fu rilevato non solo il deficit di memoria e di molte funzioni cognitive, ma anche: “Assenza di riflessi agli arti inferiori, deboli ai superiori”. 

Alla prima visita presso il Cdcd (Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze) fu sottoposto ad un breve test cognitivo (Mini Mental Test) che rivelò un deficit piuttosto grave.  La risonanza magnetica di fine 2021 rilevó un’arteriosclerosi dei piccoli vasi del cervello, ma ad essa non fu attribuita molta importanza, considerandola sostanzialmente un fenomeno legato all’età non più giovanissima.

Nel giugno 2023, il neuorologo universitario, notando la spiccata atrofia soprattutto a carico del lobi parietali ci comunicò la diagnosi “Il quadro PET-TAC depone per patologia neurodegenerativa primaria, verosimilmente del tipo AD”. 

Forse le parole intere: “Malattia di Alzheimer” o il corrispondente inglese “ Alzheimer’s Disease”  sembravano troppo spaventose per essere lette direttamente dal paziente o dai suoi familiari.

Come si è sentita messa di fronte a questa diagnosi?

Dapprima un forte senso di impotenza di fronte ad una situazione senza via di scampo: subentró ben presto il desiderio di ribellione: non potevo aspettare passivamente che l’amiloide invadesse a suo piacimento i neuroni di Andrea, dovevo combattere con lui, anche se le armi a nostra disposizione sembravano veramente poche e le prospettive non proprio favorevoli.

Prima della fine 2022 avevo terminato la lettura delle pubblicazioni di Dale Bredesen: “The end of Alzheimer’s program” e “ The fist survivors of Alzheimer’s”.

Non mi persi d’animo, trovai il nominativo di un professionista italiano che aveva conseguito la certificazione Bredesen per intraprendere il programma di cura.

Come è cambiata la vostra vita?

Già da qualche mese prima della diagnosi Andrea aveva lasciato il suo lavoro di magazziniere: aveva commesso degli errori che gli erano stati rimproverati. 

In precedenza era molto coscienzioso e stimato per la competenza con cui svolgeva le sue mansioni, perciò il richiamo lo ferì nell’ orgoglio: decise così di presentare le dimissioni ed io, neppure sospettando l’esistenza di una patologia, tentai di oppormi in ogni modo a questo proposito, con tre figli adolescenti che dovevano continuare gli studi ed il mio lavoro part-time per poter seguire la famiglia, lasciare volontariamente un posto stabile senza averne prima trovato un altro mi sembrava una follia. 

A seguito della conferma della malattia abbiamo ottenuto la pensione di inabilità, l’assegno di accompagnamento, l’esenzione ticket su visite ed esami, trasporti pubblici locali gratuiti. A me sono stati riconosciuti i benefici della Legge 104, di cui però non ho mai usufruito, avendo per varie ragioni optato per il prepensionamento con Opzione Donna, considerando anche che ho una madre anziana bisognosa di assistenza e cure. 

Cosa si sente di suggerire alla nostra comunità trentina e alle famiglie che si trovano in questa situazione?

Al Trentino manca la visione internazionale e vi è diffidenza verso la ricerca estera. Manca una vera e propria rete di supporto, forse proprio a causa del fatto che non vi sono diagnosi precoci e sensibilizzazione nei confronti di questa malattia. Ai familiari che vivono un’esperienza come la mia, consiglio di informarsi e documentarsi, perché l’accettazione passa da un approfondimento serio, non essendoci ad oggi una cura che porti alla guarigione.

Come sta Andrea oggi?

Andrea, prima riluttante anche solo ad ammettere l’esistenza di un problema, ormai ha accettato visite, esami, terapie, senza alcuna riserva. Anche il suo umore è migliorato in modo significativo: finalmente si sento compreso ed aiutato. Ha mantenuto un certo senso dell’orientamento, anche se raramente va in giro da solo: organizziamo spesso escursioni con amici, sempre con le dovute precauzioni. Nel complesso questo nuovo atteggiamento rende molto più facile e persino gratificante prendersi cura di lui. 

Il 30 maggio 2023, in occasione di una visita neurologica di controllo, il suo stato cognitivo è stato definito: “abbastanza stabile”: considerando la patologia diagnosticata e il fatto che il protocollo Bredesen è stato applicato solo in parte, questo referto è un dato positivo, uno stimolo a continuare e perfezionare la strada intrapresa. 

L’Alzheimer è un limite con il quale dobbiamo confrontarci tutti i giorni, ma la gratitudine e la rete degli affetti sono fondamentali per organizzare questo percorso di cura e di vita.

L’Alzheimer è come un puzzle che, pezzo dopo pezzo, perde i suoi contorni e la sua immagine, rendendo impossibile completarlo e scoprire il quadro finale
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