Rita Merler Vivori partecipò alla vita artistica di Trento a partire dagli anni Sessanta, grazie soprattutto alla sua amicizia con Pietro Verdini, con il quale condivise per alcuni anni lo studio. Il pittore toscano oggi la ricorda con nostalgia: “Era abbastanza brava con i pennelli ma aveva cominciato tardi e faceva fatica a trovare la sua strada. Era una donna molto bella, assomigliava a un’attrice”. Nel 1998 il suo trasferimento negli Stati Uniti fece calare il silenzio sulla sua ricerca artistica, la cui memoria è oggi affidata pressoché esclusivamente alla Regione, che conserva nella propria collezione otto dipinti di sua mano.
Tra i riconoscimenti conseguiti a livello nazionale si ricorda il trofeo “Medusa Aurea” conferitole dall’Accademia Internazionale d’Arte Moderna di Roma. La pittrice si è spenta il 21 aprile scorso a Lynn nel Massachusetts, dov’era emigrata dopo la morte del marito Ruggero per vivere vicino alla figlia Cristina residente a Boston.
Rita era nata il 15 agosto 1922 (e non nel 1923, come è stato indicato nei pochi scritti che la riguardano) a Trento, dove aveva frequentato l’Istituto Magistrale, avvicinandosi all’arte grazie al professore di disegno Camillo Rasmo. Dopo la guerra aveva seguito i corsi di pittura che Mariano Fracalossi teneva all’Università Popolare, ma l’indirizzo fondamentale in termini di stile lo ricevette dalla frequentazione del pittore tedesco Peter Conrad Bergmann (1886-1972). Formatosi all’Accademia di Düsseldorf, Bergmann si era trasferito in Italia nel 1936 e visse i suoi ultimi anni a Bressanone, dove Rita, introdotta da Verdini, poté seguirne gli insegnamenti. Dopo la sua morte fu lei a dedicargli l’unica monografia esistente, pubblicata a Trento nel 1975. Dal maestro tedesco Rita ereditò una convinta fedeltà al figurativo e un interesse prevalente per la rappresentazione della figura umana.
Il filone principale della sua ricerca artistica concerne la condizione femminile e più in generale “il femminile”, inteso come rappresentazione e autorappresentazione di un’identità che era in forte trasformazione nell’Italia di quell’epoca, tra solidarietà sororale, contestazione dei ruoli e rivendicazione di un’alterità rispetto al mondo maschile. Ci pare che questi elementi emergano abbastanza chiaramente nei due dipinti qui illustrati, intitolati Madre e figlio a Procida e Ritratto di donna: quest’ultimo reca a tergo la data 1979 e la scritta: “Ricordare un’epoca per ricordare le ragazze del 1968”.
Nella produzione di Rita Vivori non mancano peraltro dipinti di sapore più locale, come la tela del 1980 circa intitolata L’ultimo vetturino della stazione, cui si accompagna la scritta “El baron del sol – Vecchie mura di Trento”. Un suo Ritratto di contadina si trova nella sede delle Terme di Levico. Poco altro rimane di lei nel Trentino.