
È stata una delle più belle interviste della mia [lunga] carriera giornalistica. Una di quelle tanto interessanti, quanto divertenti. Quelle che ti dispiace quasi finirle, quelle che ti alzi e ti sembrano passati dieci minuti e invece è passata un’ora, ed esci con l’adrenalina addosso. Già, ne era girata di adrenalina in quel pomeriggio di un non troppo lontano 2018. Questi due ragazzoni – gli alpinisti Tomas e Silvestro Franchini – avevano letteralmente “riempito” l’ufficio con la loro presenza e i loro aneddoti sulle loro esperienze locali e internazionali, con particolare riferimento al Sudamerica e alle Ande. Dei due ricordo soprattutto Tomas, il più loquace e primo interlocutore nello scambio incalzante di domande e risposte condotto dalla sottoscritta. Abbigliamento tecnico da montagna, molto colorato (maglietta gialla e pantaloni azzurri se non ricordo male, o viceversa), scarpe da trekking o forse proprio scarponi; facce scottate dal sole, con il segno degli occhiali e le rughe precoci date dal riverbero feroce delle alte quote. Sguardi vivaci, che si illuminavano nel ripercorrere questo o quel particolare. E quella montagna dura delle grandi altezze Tomas la raccontava con sorpresa disinvoltura, come se per lui fosse una scelta inevitabile e istintiva, ma anche, al tempo stesso, una fonte inesauribile di emozioni nuove e irripetibili, viaggio dopo viaggio.
Da ragazzo abituato alle concretezze, non aveva peli sulla lingua. Ad una mia domanda aveva risposto ridendo: “Ma cosa ti interessa?!” Ed eravamo scoppiati tutti a ridere! O come quando aveva riportato, passo dopo passo, le modalità di evacuazione in quota e del successivo smaltimento del prodotto biologico. Simpaticissimo proprio per la sua immediatezza, per il suo parlar chiaro e sincero, senza filtri.
Alla domanda “Momenti difficili?” Aveva risposto: “Sul campo forse no, sulle scelte forse sì, come decidere se andare da una parte o dall’altra. Ma devi capire che in una storia così, non c’è un momento più difficile degli altri; è una costante.” Lui lo sapeva che la montagna raramente ha mezze misure: o vinci tu o vince lei. In chiusura di intervista aveva detto: “Avventura, esplorazione, trovare qualcosa di nuovo. È questo il bello della montagna.” Un Ulisse moderno, mosso dalla curiosità di conoscere l’ignoto, per allargare i limiti non solo per se stesso, ma anche per gli altri.
”quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci rallegrammo e tosto tornò in pianto;
ché della nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque:
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.”
(Dante, Inferno, Canto XXVI)