Scienza & altruismo: la lezione di Ivo De Carneri

Ivo de Carneri, uno scienziato impegnato nel sociale che ha lasciato un’eredità scientifica fondamentale per lo studio e la cura delle malattie tropicali dimenticate, con la moglie Alessandra de Carneri, presidente della Fondazione Ivo de Carneri, sono riusciti in un’isola dell’arcipelago di Zanzibar a migliorare radicalmente le condizioni di vita e di salute della popolazione con la supervisione tecnica della OMS e del Governo locale. Ma soprattutto grazie alla collaborazione di numerosi volontari (tra cui molti trentini) e benefattori di tutto il mondo. Un modello di cooperazione che può essere replicato, facendo crescere in autonomia gli abitanti dimenticati nelle zone più povere del Mondo, per spezzare il circolo vizioso povertà-malattia.

“Se tutte le malattie che infieriscono contro l’umana specie, si fossero lasciate in balia della loro perversità, né argine si fosse opposto alla di loro forza devastatrice, egli è certo che la desolazione avrebbe coperto di pianto le più floride province a danno delle più illuminate ed industriose nazioni” (L’Egida salutare, Collana Fronteretro- Fondazione Ivo de Carneri, ed. La Vita Felice). Correva l’anno 1803 quando il medico Luigi Sacco, pioniere della vaccinazione anti-vaiolosa in Italia, pronunciava queste parole. Nato in Lombardia, nel 1769 a Varese, il Sacco si laureò in medicina alla Università degli Studi di Pavia, ateneo che ha formato molte delle menti più brillanti in campo medico e scientifico in Italia, ed al suo nome è intitolato l’omonimo centro di eccellenza ospedaliera a Milano. 

Circa centocinquanta anni dopo, il trentino Ivo de Carneri, consegue due lauree nella medesima Università per combattere nelle zone più arretrate del Mondo malattie devastanti per la salute. Le malattie della povertà dovute alla scarsa igiene, alla mancanza di conoscenza di come si diffondono virus, batteri e parassiti, all’acqua infetta. Sono le cosiddette malattie dimenticate. Ci sono donne e uomini che nascono guerrieri. Non portano divise ma indossano camici e non usano armi ma microscopi e medicine. Sono un esercito senza bandiere e senza confini. Con un unico comune intento: curare ammalati, salvare vite. 

Il laboratorio di sanità pubblica Ivo de Carneri a Pemba – PHL- IdC

Ivo de Carneri è uno di loro. Uso il presente anche se questo trentino della Val di Non è morto da quasi 30 anni perché la sua opera a difesa dalle malattie tropicali continua ancora con la Fondazione a lui dedicata. Adesso anche contro il Covid-19, nel presidio sanitario realizzato nell’isola di Pemba, una delle isole dell’arcipelago di Zanzibar (Tanzania), famoso per le spezie che si coltivano e luogo di tante sue missioni su incarico dell’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) e del Ministero degli Affari Esteri Italiano.

La sua è stata una vita spesa per la ricerca e l’insegnamento, con un grande impegno nel sociale. Ma è stata sicuramente una vita non comune e anche avventurosa, compiendo missioni su richiesta di istituzioni sanitarie in Africa, in Sud America e Medio Oriente. Al suo fianco Alessandra, la moglie e ricercatrice con cui condivide arrampicate e camminate sulle montagne del Trentino ma soprattutto con cui ha in comune la visione di un mondo libero da malattie invalidanti e mortali. La compagna che non si è fermata ma ha raccolto il testimone, non permettendo che questo impegno venga meno e portando avanti quanto era stato iniziato da Ivo.

Ivo de Carneri nasce a Cles nel giugno del 1927 in una famiglia che ha origini antiche. Compie studi classici, prima nel ginnasio del Collegio Manfredini dei Padri salesiani ad Este (PD), poi nella sede distaccata a Cles del Collegio Arcivescovile di Trento.

Ivo de Carneri

Gli anni accademici sono in Lombardia, nella Università degli studi di Pavia, facoltà di Chimica pura. Chissà, forse questo noneso attaccato alla sua terra natia ed alle sue tradizioni, tra serate a parlare intorno al fuoco in Val di Tovel e grandi polente in famiglia, avrebbe scelto la Medicina. Ma tant’è, la chimica lo appassiona veramente e consegue la prima laurea nel 1950. Soprattutto lo affascina lo studio della parassitologia e si rende conto che è necessario ampliare la sua preparazione. Si iscrive, sempre nell’Ateneo pavese, alla facoltà di Scienze biologiche dove si laurea con lode.

Conosce Alessandra Carozzi a fine novembre 1968, casualmente, a casa di amici. Il 15 febbraio 1969 si sposano, durante la nevicata più romantica della loro vita.

Ivo di Carneri fa del rigore scientifico lo scopo della sua vita, ma con una profonda umanità ed interesse autentico per i risvolti sociali delle malattie. E’ un uomo dedito al prossimo suo, che scende in campo tra i negletti della terra. Gli amici e colleghi lo descrivono semplice e generoso, uno spirito libero e anticonformista. Sua moglie racconta ancora oggi del suo spirito curioso e dei tanti interessi che animano quest’uomo che ha “la passione di vivere”. Tuttavia non è facile affrontare con lui temi scientifici con superficialità. In effetti la sua figura di importante e rigoroso scienziato lo precede ed incute timore tra i colleghi che non lo conoscono di persona. Ma è aperto al dialogo ed al confronto. In realtà in lui si scopre un uomo altruista, pronto a condividere le sue importanti ricerche scientifiche. Ha la capacità di capire il futuro e forse ne ha timore. Come quando nel 1961, riferendosi alle malattie parassitarie dei popoli del terzo mondo afferma: ”Se tali problemi paressero minori rispetto ad altri che assillano il nostro Paese, sarà bene ricordare che in questo mondo di rapidissime comunicazioni non viviamo più isolati e che i problemi di altri popoli una volta lontani ci diverranno sempre più familiari: la schistosomiasi, la tripanosomiasi, le leishmaniosi, la malaria sudamericana sono ora a meno di quindici ore di volo: quelle africane anche a meno”.

Già agli inizi degli anni Cinquanta, giovanissimo neo laureato, diventa ricercatore nel laboratorio di microbiologia dell’Istituto di ricerche Carlo Erba di Milano. Tuttavia, la passione per l’insegnamento e il desiderio di trasmettere conoscenze, lo portano a scegliere la divulgazione accademica ed ottiene all’Istituto di Igiene dell’Università di Pavia la libera docenza in parassitologia nel 1959. 

Passione, ingegno, grande capacità di comunicare, grande cultura, con queste doti Ivo de Carneri compie un percorso professionale che gli fa raggiungere in breve i massimi livelli. Nel 1986 è Professore Ordinario e per molti anni insegna nelle facoltà di Medicina, Veterinaria, Farmacia, Scienze e dal 1987 al ‘90 fa parte del Consiglio Superiore della Sanità.

Diventa consulente e collaboratore dei Ministeri della salute in Italia come all’estero e della OMS. Enti che lo inviano in numerose missioni per studiare le malattie tropicali e predisporre dei piani di intervento sanitario. Ma sono numerose anche le inchieste parassitologiche svolte in Italia, dove mette in luce la correlazione diretta tra malattie parassitarie dell’infanzia, le condizioni di vita disagiate e il rendimento scolastico.

Forse si poteva già presagire per quel ragazzino di Cles, grande lettore di Salgari, un futuro non banale quando con gli amici d’estate andava a nuotare nelle buse del Nos o nella Novella sognando di immergersi nel Gange o quando, ricorda l’amico Adelio Ruatti, ”da ragazzi andavamo a giocare sul Plan de le Cionare, sulla Vergondola o sulla Boiara Bassa, immaginandoci di essere nella foresta e di combattere contro nemici invisibili”.

Nella foresta Ivo de Carneri ci va davvero. In quella Amazzonica, nel 1960 e negli anni successivi, quando il Ministero della sanità brasiliano lo incarica di indagare sulle cause di una infezione che ha colpito le tribù di indios dell’Alto Xingù. Qui il nemico invisibile si chiama Leishmaniosi tegumentaria.

Le missioni si succedono negli anni, fino al novembre 1993 quando alla vigilia della partenza per l’Eritrea Ivo de Carneri muore improvvisamente a Milano.

L’anno successivo nasce a Cles la Fondazione Ivo de Carneri ad opera della moglie e dei familiari. Pemba ora, grazie alla sua opera, a quella di Alessandra, che è presidente della Fondazione, e di tutti i volontari in Italia e nel mondo, l’isola cui Ivo ha dato tanto, ha un centro di sanità pubblica divenuto importante in Africa ed a livello internazionale. In tempi di Covid-19, il Governo di Zanzibar ha preparato un Piano Strategico pandemico per il Paese e il Laboratorio sarà il Centro di Riferimento per l’isola di Pemba per la presente e le future possibili pandemie, ma anche per i virus in generale. Inoltre, nel tempo la Fondazione ha avviato numerosi progetti nella certezza che il miglioramento delle condizioni socio-economiche si riflettono sulla salute. Il modello di cooperazione e sviluppo locale a Pemba abbraccia quindi l’agricoltura, la salubrità dell’acqua, la gestione dei rifiuti, l’allevamento dei bovini con l’aiuto dei veterinari trentini, i corsi di formazione medico sanitaria tenuti al Public Health Laboratory Ivo de Carneri (PHL-IdC), e ancora il sostegno alla cooperativa di donne Nia Safi, i dispensari materno-infantile nei villaggi di Gombani e di Pujini. Ivo de Carneri ha lasciato un mondo diverso da come lo ha trovato. Sicuramente migliore.

Pemba-Corso di formazione al Laboratorio PHL- IdC organizzato da OMS, Fondazione e Ministero salute della Tanzania
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Pubblicato da Camilla Jerta Rampoldi

Giornalista pubblicista e fotografa, laurea in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano. Collaborazioni sia con diverse testate giornalistiche, soprattutto per cronaca e attualità, sia con uffici stampa e società di produzione televisiva. Specializzazione in tematiche ambientali.