La grande sbornia tecnologica degli ultimi decenni – e che presumibilmente continuerà all’infinito – mostra i suoi effetti deleteri sull’intelligenza umana. Se saremo sostituiti dalle macchine, non sarà solo perché le macchine sono diventate più intelligenti, ma anche perché mediamente la nostra intelligenza è calata parecchio. Un esempio su tutti: si è persa sostanzialmente la capacità di scrivere in corsivo. Ve lo ricordate il corsivo? Non mi riferisco al “parlare cörsivœ”, quell’intonazione strascicata pseudo-milanese resa popolare due anni fa da una nota influencer. Detto per inciso, la popolarità del “parlare cörsivœ” è durata un paio di settimane ed è poi finita nel dimenticatoio, mentre la suddetta influencer ha guadagnato tanta fama e tanti soldi da camparci fino alla pensione. Insomma, i grandi raggiungimenti della cultura dell’internet. No, mi riferisco allo scrivere “in corsivo”, a mano libera, seguendo liberamente il fluire delle parole e dei pensieri, creando un proprio stile, una propria calligrafia (se è bella, dal greco kalòs), o cacografia (se è brutta, dal greco kakòs, come nel mio caso). Perché è proprio questo il punto: che la scrittura sia bella o brutta, poco importa, quello che conta è che è “nostra”, di ogni scrivente. Ci si mettono le proprie caratteristiche personali, i propri tic, le proprie incertezze, come suggerisce per altro la disciplina della grafologia (sulla cui scientificità è più che lecito avere dei dubbi, visto che spesso confina con la pseudoscienza, ma è usata nei tribunali, quindi amen). Il fatto che il nostro corsivo sia imprevedibile, non riproducibile, colorito, bizzarro, fiorito, oscuro, indecifrabile, lo rende incredibilmente prezioso in un’epoca in cui tutto deve essere riprodotto, standardizzato, ridotto in sequenze di bit ad uso e consumo dei nostri signori e padroni, quelli delle Big Tech (e i governi a loro rimorchio). Vi sono studi che confermano come lo scrivere in corsivo sia un esercizio preziosissimo per i bambini in fase di crescita, poiché richiede capacità cognitive sottili che il semplice “digitare” su una tastiera non riesce ad attivare. In sintesi, scrivere in corsivo fa bene. E fin quando gli esseri umani potranno comunicare tra loro e con loro stessi attraverso un pezzetto di carta scarabocchiato, saranno almeno in parte al riparo dall’occhio spione del “Grande Fratello” digitale che tutto vuole sapere e tutto monetizza.
Scrivere in corsivo fa bene
Fabio Peterlongo Scritto il
Pubblicato da Fabio Peterlongo
Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino. Mostra altri articoli