Siamo al “rubamazzo globale”

Eccoci alla fine del primo quarto del secolo XXI e siamo ancora incolumi. Non tutti, ma la stragrande maggioranza. Ci sono state carneficine e massacri, ma in fondo hanno colpito solo una parte minima della popolazione del pianeta. E anche se la situazione continua ad apparire minacciosa come quella che portò alla prima grande guerra, nessuno crede davvero che quell’inferno si ripeterà. La guerra vera, quella grossa, non può scoppiare. I cambiamenti climatici che si stanno manifestando non stanno rendendo inabitabile la nostra Terra. La crisi economica, la temuta diffusione della povertà non sono tali da farci cambiare le nostre abitudini. E anche quell’incredibile 2020, in cui il mondo si trovò da un giorno all’altro esposto a una catastrofe che sembrava non escludere nessuno, si è anch’esso rivelato superabile. Quel brutto incubo è finito. Sembrerebbero buone notizie. Non lo sono. Perché sono frutto di una lettura accomodata e anche un poco vile. In realtà, ci stiamo solo abituando a non reagire. Tanto vale tacere evitando di farci il sangue amaro. Andiamo avanti, qualcuno ci penserà. E se non lo farà non sarà stata colpa nostra. E invece non tutto è al di là della nostra possibilità di ragionare e intervenire. Non tutto è inevitabile, non tutto va da sé. In particolare, gli scenari di guerra non sono calamità naturali imprevedibili. Forse non era evitabile che in un Paese che non casualmente ha nome Ucraina (in lingua slava antica “regione di confine”, da u-, presso, e kraj, bordo) si creassero motivi di conflitto tra l’Europa e la Russia, che senza essere geograficamente due continenti lo sono culturalmente.

Ma era davvero necessaria una guerra che nessuno dei due voleva? Allo stesso modo non era imprevedibile che in Medio Oriente si riaccendesse il conflitto, stante la miccia sempre accesa della Palestina. Ma non c’era modo di condurre il tutto senza fare saltare ogni equilibrio geopolitico nella regione? Perché ambedue le parti in causa, attraverso le mani armate di Israele e di Hamas, hanno scelto modalità talmente distruttive da rendere impossibile fermarsi? E per quale ragione si sono svuotate le Istituzioni internazionali nate a fatica nel Secondo dopoguerra con l’espresso fine di impedire una nuova catastrofe planetaria (come l’ONU, figlia della Società delle Nazioni, la Corte Penale Internazionale, figlia del tribunale di Norimberga)? E con quale sensatezza si parla apertamente di una guerra con la Cina? Cosa si vuole veramente? Chi lo vuole? E soprattutto: si vuole qualche cosa? Sembra che il vero trait d’union fra tutte queste scelte sia la irragionevolezza; ogni azione è una reazione, anziché un piano di sviluppo immaginato e coordinato. L’impressione insomma è che di fronte agli enormi problemi che i tempi propongono all’umanità intera, tutti, anziché ragionare, si giochi a rubamazzo. Anche i più grandi Paesi usano la loro intelligenza, anche quella artificiale, per creare problemi agli avversari anziché risolvere quelli comuni o almeno i propri. E forse, a ben vedere, il fine degli uomini al potere non è nemmeno quello di appropriarsi delle ricchezze altrui per favorire la propria parte. Guardano altro. Ma è troppo piccolino perché lo possiamo vedere pure noi.

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Pubblicato da Stefano Pantezzi

È nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (2018) e alcuni racconti in antologie locali. “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro) è il suo primo romanzo.