Socrate e quel pericoloso “non sapere”

Venuto al mondo ad Atene nel 469 o 470 a.C. dall’unione di uno scultore e di un’ostetrica, si dice che Socrate si diede alla ricerca filosofica per pura disperazione. Aveva accanto una donna insopportabile. Lo studio fu l’unica strada per evitare le contumelie di Santippe, quella che lui stesso definisce “una delle tre peggiori mogli al mondo”. Quando la sacerdotessa del Tempio di Apollo gli rivela di essere il più sapiente al mondo, controbatte di non sapere proprio un bel niente. Nemmeno il significato della giustizia, del bene e della bellezza, a cui ci si può avvicinare solo con il dialogo. La conoscenza va investigata con criterio e pazienza, e ognuno deve farlo da sé per mezzo della maieutica. Si arruola tre volte come soldato e cade spesso in uno strano stato di trance. Critica i sofisti e il loro relativismo fatto di chiacchiere. Questo manda su tutte le furie l’ordine costituito, che lo accusa di corrompere i giovani insegnando dottrine che propugnano il disordine sociale. Condannato a morte, rifiuta di scappare andando incontro alla morte. “È meglio subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla”, dice, poco prima di bere la fatal cicuta.

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