Sono già “morto” dentro: devo davvero morire anche per l’orso?

La prima delle quattro nobili verità del buddhismo è molto chiara: la vita è sofferenza. Questa massima non è da intendere come un rifiuto nell’affrontare l’esistenza: il dolore si può alleviare e sconfiggere, ma solo dopo aver raggiunto la consapevolezza della sua presenza nella nostra vita. D’altronde, tra noi persone normali, chi potrebbe negare che tra lavoro, malattie e domande di senso la nostra vita è per la maggior parte fatica, solo a tratti interrotta da momenti di gioia? Poi, per carità, se tiriamo avanti evidentemente gli attimi felici meritano il prezzo del biglietto.

Cosa c’entra questo allegro incipit con il titolo dell’articolo?

Beh, ammettiamo che la vita è spesso dura. Possiamo aggiungere che, recentemente, si è forse anche spaventati per le tragedie di cui leggiamo ogni giorno, anche per colpa di un certo giornalismo sensazionalista. Pur nel pieno del progresso, la nostra fragilità è evidente: se non si muore per una guerra, si morirà di riscaldamento globale, o magari nella prossima pandemia. L’inquinamento poi fa male alla salute, così come le nostre abitudini alimentari e lo stress del mercato. Con un po’ di sfortuna, poi, si può rimanere coinvolti in incidenti, in autostrada come sulle montagne… si spera di resistere, insomma, ma sappiamo che non è semplice.

E poi c’è l’orso. L’orso che “fa l’orso”, come dicono i suoi fan. Ora, la domanda è questa: è possibile per l’uomo, che già deve tollerare un grande margine di incertezza, sopportare pure il pericolo dell’orso? Ossia, per essere più espliciti, davvero non ne abbiamo abbastanza di dolore, da dover trapiantare e far diffondere senza controllo nei nostri boschi, di proposito, grossi animali potenzialmente aggressivi? Anche si trattasse di un episodio funesto ogni dieci anni, non ne abbiamo davvero abbastanza?

La retorica alla Greta Thunberg, solo in parte giustificata, ci fa dimenticare un punto: l’uomo è stato ed è tuttora vittima della natura. Ovviamente ci sono ancora dei “cattivi” che deforestano e inquinano, ma per quasi la totalità della loro storia gli uomini hanno subito eroicamente e con un dolore immane le leggi durissime del creato, le sue malattie, le alluvioni, i terremoti. Davvero dobbiamo tutti sentirci carnefici, quando ci sale l’istinto a liberarci di un animale pericoloso?

Volendo, c’è un altro problema: così come noi non siamo entusiasti di incontrarlo, anche l’orso non è contento di vedere noi. Ci sono forse spazi meno stretti e meno popolosi in cui può stare tranquillo, rispetto a una provincia in cui tutti passano il loro tempo libero in montagna, con 12 milioni (milioni!) di visitatori ogni anno? E poi gli animalisti puri non preferiscono un orso selvaggio all’orso col radiocollare? C’è in effetti qualcosa di più triste di un orso con il collare? Mah…

Si ripete spesso, appunto, in queste settimane, che l’orso “fa l’orso”. E – di grazia – l’uomo, non può fare l’uomo? Essendo più intelligente degli orsi, non può fare la parte di quello più sveglio, prenderli e riportarli dove li ha presi, o altrove, in un luogo adatto?

Sembriamo così poco svegli da far decidere all’orso, o ai suoi seguaci.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.